di Stefano Tarocchi · Di ritorno da un recente pellegrinaggio viaggio in Terra Santa, che è terminato pochi giorni prima del decimo anniversario della morte del cardinale Carlo Maria Martini (31 agosto 2012) mi permetto di svolgere qui alcune considerazioni sulla particolare unicità nel calpestare quella terra, terra del Vangelo e terra in cui l’alleanza divina con il popolo di Abramo è accaduta e si è sviluppata.
A viaggiare oggi in Terra Santa, si vedono con maggior chiarezza i problemi relativi ai due anni del tempo del Covid, che hanno smantellato letteralmente percorsi che negli ultimi tempi avevano portato fiumi di persone. Adesso questi fiumi non ci sono più, e indubbiamente esiste una maggiore fruibilità dei luoghi santi, consentendo visite che fino all’inizi del 2020 erano diventate quasi impossibili.
C’è tutta una logistica da ricostruire e anche una condizione di maggiore apertura a quanti desiderano affrontare questo viaggio. Ma questo tempo intermedio, per così dire, deve essere speso per creare condizioni in cui quanti si trovano a viaggiare nella Terra Santa e nelle terre bibliche vengano assistiti nel loro cammino in una maniera maggiormente significativa da persone ben preparate.
È noto, infatti, che per gli accordi fra le chiese cristiane della Terra Santa è consentito che i gruppi abbiano un loro accompagnatore, una loro guida, definito spiritual leader, senza rischiare di togliere forze lavoro ai locali e lasciando un ampio spazio ai frati francescani. Si tratta di una questione molto delicata che in anni precedenti era stata fortemente messa in discussione anche a causa di leggerezze di varia natura.
A onor del vero, per Terra Santa si dovrebbe intendere un bacino molto più largo che va oltre l’attuale stato di Israele e i territori palestinesi, e che deve comprendere quantomeno il Sinai, la Giordania, il Libano, la Siria e la Turchia: in sostanza, le terre bibliche. E le ragioni sono molteplici: dagli eventi narrati nell’Antico Testamento fino a quanto comprendono i Vangeli, e tutti gli scritti che narrano l’espansione della prima comunità cristiana, attraverso i viaggi e gli scritti dell’apostolo Paolo, dall’oriente fino a Roma.
Chi ha intrapreso un pellegrinaggio in una sola di queste terre della Bibbia sa bene quanto sia profondo il fascino di questa terra. Proprio per questo motivo non è facile condurre un viaggio in queste terre, dovendo conoscere bene le Scritture (Antico e Nuovo Testamento), la tradizione della Chiesa antica, e naturalmente gli stessi siti che vengono fatti visitare, dentro le culture con cui sono venuti a confronto (e non raramente sono arrivate a scontrarsi), dal mondo dell’ebraismo a quello dell’Islam, e dei popoli del vicino Oriente antico. In sostanza, quello che può definirsi «l’archeologia del Levante Meridionale, con particolare attenzione all’archeologia Biblica e all’archeologia Cristiana» (Fidanzio).
Qui dovremmo spendere una parola per differenziare i siti che hanno una conferma dagli scavi dell’archeologia, e quelli che invece lasciano trasparire una memoria tramandata nei secoli: se in un sito si è stabilito un monastero nei secoli IV e V, se nei racconti dei primi pellegrini ci sono elementi che trovano conferme attuali in quanto adesso è possibile visitare – e adesso dirò una cosa che può essere interpretata come scomoda –, questa esperienza non può essere affidata a qualcuno che si è limitato a farsi l’esperienza sul campo, magari attraverso numerosi viaggi, senza però approfondire gli studi biblici e aggiornarsi su quelli archeologici.
Chiunque ha un minimo di esperienza sa bene quanto l’archeologia della Terra Santa sia in continua evoluzione: i risultati sono sempre davanti ai nostri occhi. È assolutamente necessario quindi essere aggiornati con le pubblicazioni di vario livello e con le notizie che vengono date dai siti più attenti. Questo anche perché occorre uno sguardo attento all’ambiente attuale, nella sua evoluzione sociologica, ma anche la capacità di far dialogare la Sacra Scrittura con l’esperienza con il luogo con cui si entra in contatto.
Le terre del vicino Oriente e le terre bibliche sono, infatti, una miniera inesauribile per l’archeologia: il che fa invecchiare rapidamente ogni sintesi divulgativa e fa rapidamente evaporare ogni corso di approfondimento, magari creato solo con un briciolo di buona volontà.
Per questo diventa indispensabile che non sia un signor qualunque la guida che introduce uomini e donne di tutte le età del nostro tempo nella terra del Vangelo e delle Sacre Scritture: deve sapere bene che quanti accompagna nel viaggio, credenti o non credenti, imparano qualcosa che è destinata a lasciare una traccia indelebile per il resto della loro vita.
E noi viviamo, purtroppo, in un tempo in cui l’eccesso di informazioni non lascia il tempo né genera la capacità di distinguere tra la buona moneta e quella falsa; ciò che ha un significato profondo e ciò che si limita a colpire solo il nostro lato più epidermico.
Del resto, anche san Paolo scriveva ai cristiani dell’antica Salonicco: «esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono» (1 Ts 5,24). E questo è il compito affidato a chi si mette in viaggio.