Dalla Galilea a Gerusalemme: il «Padre Nostro» nel Vangelo di Luca
di Stefano Tarocchi · Nel Vangelo secondo Luca c’è una sezione importante, quella in cui l’evangelista racconta il viaggio di Gesù verso Gerusalemme e la passione (Lc 9,51-19,27: cf. Lc 9,51-52: «mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, egli prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l’ingresso»). Con quell’espressione («elevato in alto»), l’evangelista non vuole parlare solo della futura ascensione al cielo di Gesù (cf. At 1,2.11.22), ma anche della sua passione, e dello stesso viaggio a Gerusalemme, che fra l’altro comportava la salita di un dislivello di oltre mille metri.
Luca espande i cinquantasei versetti del capitolo 10 di Marco, il primo a raccontare nel suo vangelo il viaggio di Gesù: «partito di là, venne nella regione della Giudea e al di là del fiume Giordano. La folla accorse di nuovo a lui e di nuovo egli insegnava loro, come era solito fare» (Mc 10,1).
I due capitoli paralleli di Matteo (Mt 19,1-20,34) hanno lo stesso contenuto: «terminati questi discorsi, Gesù lasciò la Galilea e andò nella regione della Giudea, al di là del Giordano» (Mt 19,1).
Ne risulta che i tre vangeli Sinottici descrivono il ministero di Gesù seguendo un percorso identico che muove dal nord (la Galilea), al sud (la Giudea e Gerusalemme, attraverso la valle del Giordano): così Gesù sale a Gerusalemme da Gerico.
Si è così portati a pensare, seguendo i dati forniti dai primi tre Vangeli, che la durata complessiva del ministero di Gesù si riduca ad un anno scarso, per la menzione di una sola Pasqua e l’assenza di altre annotazioni cronologiche.
È però vero che nel Vangelo di Marco si trovano due riferimenti alla stagione primaverile, cioè quando cade la Pasqua, durante l’attività di Gesù in Galilea: il momento in cui «Gesù passava fra campi di grano e i suoi discepoli, mentre camminavano, si misero a cogliere le spighe» (Mc 2,23), e poi quando Gesù prima di moltiplicare dei pani e i pesci «ordinò loro di fare sedere tutti, a gruppi, sull’erba verde» (Mc 6,39).
Leggendo il Vangelo di Giovanni, che ricorda tre feste di Pasqua, potremmo parlare di un ministero durato almeno di due anni, più un mese o due. Lo stesso Vangelo permette di ricostruire più viaggi a Gerusalemme, anche da strade diverse.
Quindi, almeno una seconda Pasqua va aggiunta all’unica che è rammentata: quella della passione e della risurrezione di Gesù, avvenuta un sabato dell’aprile dell’anno 30.
Qui vorrei però aggiungere un nuovo tassello a questa riflessione, prendendo ancora spunto dal Vangelo di Luca: «mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi. Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta» (Lc 10,38-42).
Il villaggio di cui si parla è Betania, situato nei pressi di Gerusalemme, di cui si fa cenno anche in Lc 24,50, nel giorno della Risurrezione.
Abbiamo notizie di Betania anche dal quarto Vangelo: «un certo Lazzaro di Betania, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato» (Gv 11,1). Perché «Betania distava da Gerusalemme circa quindici stadi meno di tre chilometri» (Gv 11,18).
Il Vangelo di Marco racconta di un andirivieni di Gesù e i discepoli tra Betania e Gerusalemme, nei giorni avanti la passione: Gesù «entrò a Gerusalemme, nel tempio. E dopo aver guardato ogni cosa attorno, essendo ormai l’ora tarda, uscì con i Dodici verso Betania. La mattina seguente, mentre uscivano da Betania, ebbe fame» (Mc 11,11-12).
Lo stesso evangelista racconta anche del l’albero di fico, che è pieno di foglie ma non ha frutti.
È vero che siamo fuori stagione, ma Gesù impedisce all’albero di fico di averne in futuro (Mc 11,13-14): una metafora del vicino tempio, che della preghiera ha solo l’apparenza?
Il luogo dove Gesù pregava doveva trovarsi sulla strada da Betfage (in aramaico, per l’appunto, “casa dei fichi verdi”) a Gerusalemme, non lontano da Betania.
Ora, a Gerusalemme sul Monte degli ulivi, proprio dove si trova il giardino del monastero del Pater Noster sembra sorgesse la basilica costantiniana dell’Eleona (oliveto in greco), il primo edificio sacro costruito sull’altura posta di fronte alla città santa.
Questo elemento architettonico pone almeno alcune domande: se, a differenza di Matteo, che riporta il Padre Nostro nel discorso della montagna (Mt 5,1-7,29), in Galilea, e Luca lo colloca nella sua versione più breve e (probabilmente) più antica, durante il viaggio a Gerusalemme.
Per questa ragione non deve essere casuale il contatto con il villaggio di Betania.
Vengono così a comporsi davanti a noi due orizzonti completamente diversi, che tuttavia si completano a vicenda. Matteo e Luca li ricavano dalla cosiddetta fonte dei detti, un’ampia raccolta degli insegnamenti di Gesù, che i due evangelisti utilizzano in maniera indipendente l’uno dall’altro.
Qui assume un ruolo speciale Gerusalemme, che l’evangelista Luca lascia sullo sfondo della sua narrazione, sebbene si trovi a pochi chilometri di distanza, in uno dei viaggi che Gesù ha intrapreso verso la città santa.
A ricordarlo a chi percorre a piedi quelle terre è pur sempre rimasto il santuario del Padre Nostro, in cima al Monte degli Ulivi.