Profughi e terrorismo, l’Europa dopo la disfatta di Kabul
“responsabilità di proteggere”, che pone in testa alla comunità internazionale il dovere di difendere i popoli quando i loro governi non vogliono o non possono farlo, usando ogni mezzo diplomatico e umanitario. Principio basato sul fatto che tutte le donne e tutti gli uomini – non si stanca di ripeterlo Papa Francesco nei suoi appelli sempre più forti e frequenti – nascono liberi e uguali. Quindi hanno tutti gli stessi universali diritti, qualsiasi sia la loro lingua, cultura o religione, anche se il loro stesso governo li nega. Certo i nostri governanti dovranno cercare di non ripetere gli errori del passato e del presente; continuare a fare processi l’uno all’altro anche per le decisioni più recenti e alcune improvvide dichiarazioni di Biden, definito “anatra zoppa”. La catastrofe della strategia Usa è stata ampiamente e lucidamente analizzata da quella vecchia volpe della diplomazia statunitense che corrisponde al 97enne Henry Kissinger: la trasformazione dell’Afghanistan in un Paese moderno richiedeva tempi non conciliabili con i processi politici americani. Ha sbagliato Biden, ma ancor più i suoi predecessori; e non di meno gli Alleati silenti. Tesi sviluppata, in un pungente editoriale sul “Corriere della Sera”, dallo storico Paolo Mieli. Secondo il quale non è giusto far ricadere interamente sull’attuale presidente Usa “qualcosa di più di una responsabilità oggettiva”. Nella lunga stagione in cui fu vice di Obama, Biden maneggiò con grandissima cautela il dossier Afghanistan. Fu poi Donald Trump ad impostare, con i negoziati di Doha, le modalità di uscita dal conflitto. Tutto ciò sulla base di un’esplicita trattativa con quello che nei documenti ufficiali viene tuttora definito “Emirato islamico afghano”, che non è riconosciuto dagli Stati Uniti come stato ed è noto come i Talebani.