Le «banche dei poveri» e il vero sviluppo

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di Leonardo Salutati · Lo scorso mese di agosto la stampa nazionale ha riportato la notizia della scomparsa, l’11 dello stesso mese a causa di complicanze dovute al Covid-19, di padre Giulio Berutti, 77 anni, sacerdote missionario del PIME a Dinajpur in Bangladesh, ricordato come «fondatore delle “banche dei poveri”, sull’esempio di Muhammad Yunus» (La Repubblica). Indubbiamente Muhammad Yunus, fondatore della Grameen Bank che dal 1976 ha diffuso il micro credito fra milioni di famiglie povere del Bangladesh, ha certamente meritato il Premio Nobel 2006 per la Pace, tuttavia il microcredito in Bangladesh lo hanno iniziato i missionari cattolici e protestanti agli inizi del Novecento, prima di Yunus e della Grameen Bank.

Le “banche dei poveri”, ovvero le “Credit Unions” di padre Berutti, sono di fatto Cooperative di Credito che offrono il proprio servizio prevalentemente, anche se non esclusivamente, alla diffidente popolazione tribale e, grazie a loro, molte persone sono riuscite ad avviare una piccola attività, comprare casa o pagare gli studi superiori ai figli, evitando di cadere nella rete dell’usura.

La somiglianza delle “Credit Unions” con la Grameen Bank di Yunus si esaurisce nel fatto che entrambe le iniziative operano nell’ambito del microcredito. Infatti le “Credit Unions” attingono piuttosto ispirazione nella realtà della cooperazione che, sbocciata a Rochedale in Inghilterra nel 1844 con i “Probi Pionieri”, si svilupperà poi decisamente nell’ambito di quel cattolicesimo sociale precursore della Rerum novarum, in Germania con Friedrich Wilhelm Raiffeisen (1818-1888), Francia e Italia, dando vita alle prime esperienze di Credito Cooperativo.

La prima Credit Union, la “Chotanagpur Catholic Mission Co-operative Credit Society”, nasce a Chotanagpur nel 1909, nella diocesi di Ranchi, nell’attuale stato del Bihar, nord India, attiva ancora oggi con migliaia di soci, grazie all’iniziativa del padre gesuita tedesco John-Baptist Hoffmann (1857-1928), che aveva avuto modo di approfondire la conoscenza dei meccanismi della cooperazione in occasione di un suo rientro in patria. In seguito il suo esempio fu seguito anche in quello che è oggi il Bangladesh fin dagli anni ‘30. In particolare il movimento delle “Credit Unions” si consolidò e sviluppò ulteriormente negli anni ‘50 nella diocesi di Dhaka per opera di padre Charles Young (1904-1988), missionario americano della Congregazione della S. Croce.

Nella diocesi di Dinajpur affidata al PIME, nel nord-ovest del Bangladesh, questo movimento prese piede negli anni ‘60, con successo tra i cristiani di etnia bengalese, ma con alterne vicende tra la comunità tribale. P. Berutti si inserisce nel solco di questa esperienza nel 1993, con la missione di rivolgersi prevalentemente al difficile ambiente tribale e con un approccio sostanzialmente diverso da quello di Grameen Bank e di più di un migliaio di ONG, che si sono buttate sul metodo del micro-credito come parola magica per attirare fondi dall’estero con l’intento di fare dello sviluppo e di risolvere, con distribuzione a tappeto di prestiti, il problema della povertà. Si tratta però di uno sviluppo quantitativo, che presume come causa primaria della povertà la mancanza di capitale e che ripete lo schema in cui c’è chi dà e chi riceve, i “poveri” sono i beneficiari e i “ricchi” pensano di essere attori o agenti dello sviluppo (p. Berutti).

Tra l’altro, lo scopo della Grameen Bank è di produrre profitto e distribuire dividendi ai soci, mentre quello delle “Credit Unions” è invece di aiutare i poveri stimolandoli a risparmiare e ad usare il loro risparmio per produrre altra ricchezza. Padre Giulio spiegava in un’intervista del 2009 a padre Gheddo che: «I piccoli prestiti che fanno le Credit Union vengono restituiti col modico interesse del 12% annuale, molto più basso di quello che fanno le banche (del 22-24%) e meno della metà di quello che fa la famosa Grameen Bank di Yunus, che arriva a pretendere il 28% annuo di interesse sui prestiti. Yunus in Bangladesh è criticato per l’eccessiva rigidità e durezza verso le famiglie che non sono in grado di restituire i prestiti a quell’altissimo tasso d’interesse (comunque inferiore a quello degli usurai!) e quindi gettando nella disperazione e degrado umano i poveri più incapaci. Però la Grameen Bank, nel quadro bengalese, ha molti meriti anche se è una banca di puro capitalismo».

Diversamente le “Credit Union” cristiane vogliono educare al risparmio la gente più povera. Infatti, in continuità con i valori tipici della cultura tribale, ma anche della tradizione cristiana, di solidarietà, uguaglianza fra tutti, pazienza, capacità di godere con poco, la modalità delle “Credit Unions” mira a rendere le stesse persone povere agenti del proprio sviluppo. I tribali sono accompagnati a prendere chiaramente coscienza della propria realtà, sono incoraggiati a gestire le proprie risorse aiutandosi a vicenda, garanti gli uni per gli altri, autogestendosi come gruppo. In particolare, sono guidati a risparmiare per crearsi un proprio capitale, per favorire l’affrancamento da ogni potere esterno e l’affermazione della propria dignità, per garantire la continuità nel tempo, nella qualità dei rapporti umani e nella quantità degli interventi finanziari. È indubbiamente una strada più lunga di quella offerta da molte ONG, ma è la più sicura, perché lo sviluppo è come la crescita naturale, che richiede tempo ed esperienza e non crea scompensi (p. Berutti).

Siamo sulla linea di quanto insegna San Paolo VI nella Populorum progressio, quando ricorda che il vero sviluppo è il passaggio da condizioni meno umane a condizioni più umane. «Meno umane: le carenze materiali di coloro che sono privati del minimo vitale, e le carenze morali di coloro che sono mutilati dall’egoismo. Meno umane: le strutture oppressive (…) Più umane: l’ascesa dalla miseria verso il possesso del necessario, la vittoria sui flagelli sociali, l’ampliamento delle conoscenze, l’acquisizione della cultura (…) l’accresciuta considerazione della dignità degli altri (…) la cooperazione al bene comune, la volontà di pace. Più umane, ancora: il riconoscimento da parte dell’uomo dei valori supremi, e di Dio che ne è la sorgente e il termine. Più umane, infine e soprattutto: la fede, dono di Dio accolto dalla buona volontà dell’uomo, e l’unità nella carità del Cristo» (PP 21).

 

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Leonardo Salutati

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