di Andrea Drigani · Questo Anno Dantesco, nel VII centenario della morte del Poeta, ha tra l’altro posto in evidenza, con numerosi scritti e studi (anche su questa Rivista), come gli interessi culturali di Dante si rivolgessero all’intero scibile umano, dunque anche in ordine alle dottrine giuridiche e politiche.
San Paolo VI nella Lettera Apostolica «Altissimi Cantus» del 7 dicembre 1965, l’unica opera di Dante che cita, oltre alla Divina Commedia, è la «Monarchia». Papa Montini osserva che la monarchia universale, tratteggiata in termini medievali, esige una potestà sovranazionale, che faccia vigere un’unica legge a tutela della pace e della concordia dei popoli. Il presagio del divino poeta – concludeva San Paolo VI – non è affatto utopistico, come ad alcuni potrebbe sembrare, dal momento che ha trovata nella nostra epoca una certa attuazione nell’Organizzazione delle Nazioni Unite, con estensione e beneficio che tendono a riguardare i popoli del mondo intero.
La formazione dell’ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite), avvenuta nel 1945 da parte della coalizione degli Stati vincenti sulla Germania e sul Giappone, avrebbe dovuto avere lo scopo di impedire nuove guerre e di creare un ordinamento internazionale basato sul rispetto di alcune, sia pur minime, norme giuridiche; in questo senso vanno la Carta dell’ONU del 1945, la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948 e lo Statuto della Corte Internazionale di Giustizia del 1946.
Non v’è dubbio che alcuni risultati si sono ottenuti (i Patti internazionali sui diritti economici, sociali, e culturali e sui diritti civili e politici sottoscritti nel 1966), ma permangono ancora ampie e pericolose lacune sia di natura pratica che teorica.
La regolazione dell’attività dell’ONU sembra fondarsi apparentemente su una democrazia (che forse è impossibile da realizzare), ma è invece dominata da una pentarchia (U.S.A., Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna) attraverso lo strumento del diritto di veto, che ha gravemente inciso sulla funzionalità e la credibilità delle Nazioni Unite.
A tali difficoltà va aggiunta la questione dell’essenza del diritto internazionale, ritenuta dai più in senso esclusivamente contrattuale, derivante cioè dal libero consenso degli Stati, attraverso la stipula degli accordi, alla cui applicazione, comunque, gli Stati stessi possono apporre particolari clausole restrittive.
Il diritto internazionale, in tal modo, si presenta con un’articolazione molto flessibile e fragile, basti pensare alla scarsa ed inefficace tutela dei diritti della persona umana, ivi compreso il diritto alla libertà religiosa ed all’impossibilità di infliggere serie sanzioni agli Stati inadempienti nei confronti delle disposizioni pattizie.
E’ assai opportuno, pertanto, accogliere l’invito di San Paolo VI il quale non riteneva la «Monarchia» di Dante un libro morto, che non diceva più nulla a nessuno, bensì contenente dei principi fondamentali per un diverso ordinamento internazionale o, più precisamente, sovranazionale.
Possiamo enucleare, dal trattato dantesco, almeno tre concetti. Il primo concerne la necessità di un governo universale che si riferisce ad un principio logico ed ontologico (archè), escludendo l’uso arbitrario e irrazionale del potere, con una potestà che non assorbe o estingue i vari principati, regni o repubbliche, che rimangono pienamente autonomi nel loro ambito, nei limiti del diritto naturale e della legittima subordinazione al governo universale.
Il secondo concetto che emerge dalla «Monarchia» di Dante è l’unità del genere umano che nessuna differenza etnica e culturale può distruggere, poiché l’intera umanità darà il meglio delle sue potenzialità, con la pax universalis. Per il mantenimento di quest’ultima occorre un’autorità monarchica mondiale che non derivi da un contratto, ma dalla natura stessa dell’unico consorzio umano.
Il terzo concetto è quello della risoluzione delle controversie, cioè il rispetto della giustizia e delle leggi sovranazionali. I regni e le città hanno in loro delle caratteristiche particolari, pertanto è bene che siano regolate da leggi diverse, ma il genere umano nella sua globalità deve avere delle norme comuni ed universali (Ius commune e Ius gentium).
La pace e l’ordinata vita del consorzio umano hanno anche bisogno di un’adeguata formazione educativa, ma il problema dell’esistenza di un diritto e di una potestà al di sopra delle nazioni è irrinunciabile. Le argomentazioni della «Monarchia» dantesca vengono da lontano ma, secondo me, vanno verso il futuro.