Considerazioni sull’opera grafica intitolata «Dante e la matematica»
di Francesco Romano • In una recente esposizione alla Galleria “Gadarte” di Firenze ha trovato risalto l’opera dell’artista Luciana Romano dal titolo “Dante e la matematica”, eseguita con la tecnica dell’incisione a punta secca su lastra di plexiglass, per rappresentare uno tra i numerosi riferimenti alla matematica presenti nella Divina Commedia. Nell’opera viene plasticamente raffigurato lo sfavillio dei cerchi e il coro delle voci che rivelano la presenza e il festeggiamento degli angeli. Il numero di scintille prodotte è straordinariamente elevato.
Dante oltre a essere un letterato possedeva a una vasta cultura generale, la conoscenza di nozioni scientifiche del tempo e della matematica. Nella Commedia molti sono gli spunti di collegamento con la matematica, sia direttamente proposti da Dante, sia indirettamente rintracciabili tra i suoi passi. Il Paradiso è la cantica più ricca in assoluto di riferimenti matematici.
L’artista ha eseguito la sua raffigurazione prendendo spunto da questi versi di Dante da lei riportati in calce alla incisione:
“ed eran tante, che ‘l numero loro
più che ‘l doppiar de li scacchi s’inmilla” (Paradiso, XXVIII 91-93).
Dante e Beatrice si trovano nel cielo cristallino (o Primo Mobile), sede dei nove cori angelici. Beatrice ha appena spiegato a Dante la struttura e la dinamica dei cerchi concentrici fiammeggianti (che ospitano i cori) e ruotano intorno a quello che sembra essere il loro centro comune, un punto luminosissimo corrispondente a Dio.
Spesso i teologi si erano cimentati nel tentativo di rintracciare il reale numero di creature angeliche, senza riuscire ad andare al di là dei termini usati come “innumerevoli”, “in numero sterminato”, “incalcolabili”, e via elencando. Anche Dante vuole esprimere la sua visione in proposito dal momento che i canti XXVIII e XXIX del Paradiso sono dedicati alla dottrina degli angeli.
In essi Dante osserva le categorie angeliche che presiedono ai nove cieli del Paradiso, disposte secondo nove cerchi concentrici in perpetuo movimento. Da ognuno di essi, come da un crogiuolo di ferro incandescente, un numero strabiliante di scintille si stacca dal proprio cerchio, in modo che gli angeli si distinguano uno a uno, pur continuando a seguirne il movimento.
Ora, Dante vuole rendere l’immagine di un numero grandissimo tendente all’infinito, così alto che la classica numerazione romana (basata su I, V, X, L, C, D, M) è impossibilitata ad esprimerlo. Il concetto di passaggio al limite per “x” tendente all’infinito non era noto a quell’epoca. Così la fantasia dantesca, strettamente legata al potere visivo delle parole, fa ricorso a un famoso aneddoto sull’origine del gioco degli scacchi.
Il paragone scacchistico utilizzato da Dante è particolarmente significativo. Il numero cui fa riferimento Dante in questi versi è tratto dalla leggenda orientale secondo la quale l’inventore degli scacchi Sissa Nassir chiese al re di Persia, come premio della sua invenzione, un chicco di grano sulla prima casella della scacchiera, due sulla seconda, quattro sulla terza, e così via, raddoppiando sempre fino a originare un numero straordinariamente grande.
Nella Firenze di Dante gli scacchi godevano di grande favore tra i nobili e gli ecclesiastici. È appurato che Dante sapesse giocare a scacchi e in particolare che lo facesse con gli amici Cino da Pistoia e Guido Cavalcanti.
Tornando all’aneddoto, al re di Persia la richiesta apparve esageratamente modesta, da proporre invece a Sissa Nassir di potergli donare una provincia del suo impero, ma questi fu irremovibile. Allora il Re chiamò i suoi contabili ed ordinò loro di fare il calcolo e di dare al matematico i “chicchi di grano” che egli aveva chiesto.
Dopo due settimane di calcoli, i contabili furono ricevuti dall’imperatore che chiese loro se avessero terminato il calcolo; essi annuirono. Il re domandò “Bene, quanto grano ha chiesto Sissa Nassir? Ce n’è abbastanza nei granai reali per accontentarlo?”.
A questo punto il capo dei contabili rispose: “Mio signore, per dare a Sissa Nassir tutto il grano che ha chiesto, tu dovresti spianare tutte le montagne della Terra, tagliare tutte le foreste, colmare tutti i mari, prosciugare tutti i fiumi, radere al suolo tutte le città, e coltivare a grano l’intera superficie della Terra per 1500 anni consecutivi”.
Il Re restò di stucco: evidentemente non poteva avere idea di quanto sia vertiginosa la crescita di una funzione esponenziale. Il problema posto da Sissa Nassir ai contabili reali consisteva infatti nello stabilire la somma dei primi 64 termini di una progressione geometrica di ragione 2.
Dunque per risolvere il problema di Sissa Nassir bisogna trovare la somma dei termini di una progressione geometrica di ragione 2 il cui primo termine vale 1. Usando la formula si ha:
S64= 1 x (264 – 1) / (2 – 1) = 264– 1= 18.446.744.073.709.551.615.
Si tratta indiscutibilmente di un risultato estremamente grande, che nel nostro sistema di numerazione richiede 19 cifre per essere scritto.
È possibile che Dante non fosse ancora soddisfatto dell’iperbolico numero rappresentato dal “doppiar de li scacchi”, e così abbia pensato di sostituire alle potenze del due le potenze del mille. In altre parole, se sulla prima casella della scacchiera mettiamo un angelo, sulla seconda ne mettiamo non due ma mille, sulla terza mille per mille, cioè un milione, sulla quarta un milione per mille, cioè un miliardo, e così via fino alla sessaquattresima. In tal modo il numero degli angeli invece che raddoppiare “s’inmilla”! Dunque il problema di Sissa Nassir si trasforma in quello di Dante di trovare la somma dei primi 64 termini di una progressione geometrica il cui primo termine è 1 e la ragione vale non più 2 bensì 1000. La formula ci dà allora:
S64= 1 x (100064– 1) / (1000 – 1) = (10192– 1) / 999 = circa 1,001 x 10189.
Un numero decisamente al di là di ogni possibilità di conteggio, dato che la massa in grammi dell’universo oggi conosciuta arriva fino a 1058.
Il verbo “inmillare”, qui usato per indicare una progressione geometrica pari a “mille”, è stato coniato da Dante, creatore di parole e non solo di versi. Si può affermare che la Divina Commedia è la sintesi dell’intero scibile medievale, non solo dal punto di vista letterario, ma anche scientifico.