Il dovere cristiano del perdono e la «legge della gradualità». Analogie col «lavoro del lutto».

Che cosa intendo dire?

Date le difficoltà che talora s’incontrano nel concedere il perdono secondo la richiesta evangelica, è fin troppo facile indurire il cuore convincendosi che sia giusto non concederlo perché in quel caso specifico la richiesta del Signore non sarebbe da considerarsi vincolante. Tuttavia, agendo in tal modo si finirebbe con l’applicare la cosiddetta «gradualità della legge», dalla quale il magistero della chiesa mette espressamente in guardia. Bisogna piuttosto prendere atto con umiltà della nostra incapacità e, riconoscendovi coraggiosamente un’occasione di conversione, pregare sinceramente il Signore di guarire il nostro cuore, attendendo con speranza l’aiuto di Dio e tentando tutti i passi possibili, per esempio quello di pregare per le persone che ci hanno ferito nonostante non si riesca ancora a perdonarle appieno. Questo può essere un esempio concreto di che cosa significa «legge della gradualità».Perdono

D’altra parte, il lavoro del perdono è qualcosa di simile all’elaborazione di un lutto, perché un torto subito è, in fondo, qualcosa di analogo all’esperienza di una morte. Un’ingiustizia o un’offesa sono vissute di fatto come perdite, e in quanto tali sono, per così dire, presagi della perdita radicale che è la morte. Come nel caso del lutto, per riguadagnare la salute interiore è necessario superare il vuoto creato dalla perdita e guardare oltre. Per noi cristiani, ciò dovrebbe avvenire nella certezza che il Signore, con la sua morte in croce e la sua risurrezione, ha vinto ogni morte, ogni ingiustizia e ogni offesa. Tuttavia, anche per i cristiani questa elaborazione comporta nella maggior parte dei casi un tempo «fisiologico» e un lavoro paziente. Certo, ci sono persone che, come Gesù, sono capaci per grazia di Dio di perdonare immediatamente, senza attese ed elaborazioni, torti anche atroci come l’uccisione di un congiunto, per fare un esempio estremo.

La santità esiste, ed è bello e consolante vederla all’opera. Ma di fronte a delitti e abusi gravissimi si dovrebbe avere rispetto per il «lavoro del lutto» di chi li ha subiti, senza che questo significhi rinunciare, in prospettiva, alla radicalità delle richieste del vangelo, perché il perdono, certo, fa bene a chi ha commesso il torto, ma fa ancor più bene a chi lo ha subito. Talvolta i giornalisti banalizzano il mistero del perdono quando, ad esempio, chiedono ai congiunti delle vittime di un delitto o di un grave abuso se sono disposti a perdonare. C’è stato un periodo in cui questa banalizzazione avveniva di frequente: nei telegiornali era quasi un luogo comune. Il perdono è una cosa tanto importante e preziosa, e non dovrebbe mai essere banalizzato.

Del resto, nel caso di delitti e gravi abusi, praticare il perdono cristiano non significa rinunciare all’idea che il colpevole debba rendere conto anche alla giustizia umana. Nel caso della pedofilia nel clero, ad esempio, non si può disattendere la misericordia verso le vittime, e quindi l’ascolto della loro indignazione, la loro pretesa di giustizia, e anche il rispetto della loro fatica a perdonare, facendo banalmente leva sulla dovuta misericordia verso il peccatore che ha sbagliato. In certi casi, più che saper perdonare la Chiesa dovrebbe saper chiedere perdono, come del resto, in tempi recenti, spesso ha fatto.