Non solo Narnia e Berlicche. Lewis e i novissimi
Il narratore del libro è un Dante qualunque e anonimo dell’Inghilterra novecentesca: giunge in una prateria immensa e verdeggiante, laddove si imbatte in personaggi a lui perlopiù sconosciuti e che discutono tra di loro. Vi viene condotto dallo spirito di George MacDonald, romanziere scozzese di genere fantastico, morto all’alba del ‘900: qui il narratore viene introdotto da questa sorta di Virgilio dei tempi moderni ai misteri e alla stravaganze di tale landa verde e fiorente, meta surreale di un viaggio surreale. O almeno questa è la prima impressione che si prende, dal momento che lentamente il dialogo tra il narratore e il suo Virgilio – e quelli assai animati tra i personaggi che MacDonald invita il narratore ad ascoltare – svela sempre più del punto da cui tutto è partito e della meta cui giunge l’autobus.
Ed è in questo che consiste la più grande originalità escatologica di Lewis, nascosta sotto le vesti apparentemente dimesse di una fantasticheria letteraria: pensare la vita che si colloca nel tempo e nello spazio come vita che può essere già al di fuori del tempo e dello spazio. Così si legge: «la terra, qualora venga presa al posto del Cielo, rivelerebbe d’essere una regione dell’Inferno, mentre se viene accettata in conformità al Cielo, costituisce fin dal principio una parte del Cielo stesso». Si badi: non si afferma che dalle scelte di carità ricercata o rifiutata, di affidamento alla volontà di Dio o di volontario allontanamento da essa dipende la nostra vita eterna. Si afferma qualcosa di più sottile e decisivo, quasi non si avesse una vera soluzione di continuità tra la vita terrena e quella eterna. Per coloro che vivono il (non in!) Paradiso, voltandosi indietro sembrerà che non abbiano vissuto altro che il Paradiso. Perché –come dice il Nuovo Testamento – se Dio è Amore, ogni vita di carità condotta in questa terra è già ora parte del Paradiso.