Natura ed effetti della dimissione ipso facto dall’Istituto religioso (can. 694)
di Francesco Romano • Con il motu proprio Communis vita pubblicato il 19 marzo 2019, di cui ci siamo occupati su questa Rivista lo scorso maggio, il can. 694 si è accresciuto di una nuova fattispecie, l’assenza illegittima dalla casa religiosa per dodici mesi ininterrotti durante i quali il religioso si rende irreperibile, andando ad aggiungersi all’abbandono notorio della fede cattolica (§1) e all’attentato al matrimonio contratto anche solo civilmente (§2).
Gli effetti previsti dal can. 694 comportano obbligatoriamente la dimissione del religioso dall’Istituto. Si tratta di dimissione a iure ovvero ipso facto, con effetto automatico per il fatto stesso di aver abbandonato in modo notorio la fede cattolica, di aver attentato al matrimonio e di essersi illegittimamente assentato in modo irreperibile dalla casa religiosa per dodici mesi ininterrotti.
La dimissione avviene senza seguire la consueta procedura prevista dai cann. 697-699, cosicché gli effetti che si producono avvengono ipso facto, cioè a partire dalla commissione del fatto stesso, prima ancora che il Superiore la formalizzi con l’atto di dichiarazione perché possa constare anche giuridicamente in foro esterno.
Il Codice di Diritto Canonico, oltre alla dimissione a iure di cui sopra, prevede per altre fattispecie la modalità di dimissione ab homine in cui il superiore competente, in base alle risultanze istruttorie acquisite, decreta la dimissione che potrà essere obbligatoria (can. 695) o facoltativa (can. 696). Pertanto, nella dimissione a iure è la commissione del fatto stesso (ipso facto) a determinarne gli effetti giuridici e non la dichiarazione del superiore competente che deve solo registrare il fatto accaduto e non emanare il giudizio come avviene per la dimissione ab homine.
La condivisione della fede cattolica è il primo requisito per essere ammessi a un Istituto religioso (cf. can. 597 §1) che rappresenta anche uno dei punti che contrassegnano la piena comunione con la Chiesa cattolica (cf. can. 205). Inoltre, “per fede cattolica sono da credere tutte quelle cose che sono contenute nella parola di Dio scritta o tramandata, vale a dire nell’unico deposito della fede affidato alla Chiesa, e che insieme sono proposte come divinamente rivelate dal Magistero solenne della Chiesa e dal suo Magistero ordinario e universale” (can. 750).
Nel presentare i delitti codificati contro la religione e l’unità della Chiesa il Codex inizia con quelli di apostasia, eresia e scisma che prevedono la pena della scomunica latae sententiae (cf. can 1364). Si tratta appunto di delitti contro la fede cattolica che per produrre effetti giuridici in foro esterno deve essere abbandonata in modo notorio. L’ambito di applicazione di questa pena non deve essere confusa con la dimissione ipso facto dall’Istituto religioso prevista dal can. 694 perché questa dimissione non può essere qualificata come pena latae sententiae.
Il delitto di attentato al matrimonio contratto anche solo civilmente può comportare per il religioso due diversi tipi di pena. Infatti, il religioso chierico incorre nella sospensione latae sententiae dall’esercizio del ministero sacro (cf. can. 1394 §1), mentre il religioso laico di voti perpetui, non chierico, incorre nella pena dell’interdetto latae sententiae (can. 1394 §2). Per entrambi i religiosi, chierici e laici, l’attentato al matrimonio comporta anche la dimissione ipso facto dall’Istituto religioso (cf. can. 694), ma si tratta di una sanzione del tutto autonoma rispetto alla pena latae sententiae.
La terza fattispecie inclusa nel can. 694 dal motu proprio Communis vita di assenza ingiustificata e protratta ininterrottamente per oltre un anno dalla casa religiosa (cf. can. 694 §3) segue gli effetti previsti per le altre due comportando la dimissione ipso facto dall’Istituto religioso.
Ciò che contraddistingue la vita religiosa è la coabitazione nella medesima casa legittimamente costituita, la sottomissione al proprio superiore designato secondo il diritto, la condivisione di un regime di vita che include elementi spirituali, materiali e disciplinari (cf. can. 607 §1). Per questo l’assenza dalla comunità è una minaccia per il senso di appartenenza fino a portare allo smarrimento non riconoscendo più il valore del patrimonio che si esprime nel carisma di un istituto e quindi la propria identità.
Le fattispecie esaminate che comportano la dimissione dall’Istituto religioso ipso iure e ipso facto per atti ex delicto, quali l’attentato al matrimonio e l’abbandono notorio della fede cattolica, non sono da mettersi erroneamente in relazione con la pena latae sententiae.
La dimissione ipso facto dall’Istituto religioso disposta dal can. 694 §§1-3 non possiede i requisiti per essere considerata una pena medicinale e non è annoverata tra le sanzioni penali. Anche per le prime due fattispecie del can. 694 la dimissione ipso facto non avviene per effetto della violazione di una legge penale, come ad esempio l’attentato al matrimonio (cf. can. 1394) o la defezione dalla fede cattolica (cf. can. 1364), essa non è sanzionata da una legge penale, ma da una norma disciplinare codificata al can. 694.
La finalità della pena medicinale è l’emendazione del reo attraverso la proibizione dell’esercizio di diritti e doveri che gli sono propri e riconosciuti all’interno della Chiesa. Al contrario, la perdita dello stato di vita consacrata del religioso non è una pena finalizzata all’emendazione e al rientro nell’Istituto, ma si configura piuttosto come sanzione che comporta la dimissione dall’Istituto religioso e quindi la privazione di diritti e doveri che gli sono propri. In tal senso, la formula ipso facto applicata alla dimissione dall’Istituto religioso non equivale a quella di latae sententiae prevista per una pena medicinale. Neppure può essere annoverata tra le pene espiatorie perpetue perché non potrebbe essere irrogata mediante un decreto (cf. can. 1342 §2).
Ritornando agli effetti giuridici del delitto di attentato al matrimonio contratto anche solo civilmente da parte di un religioso professo perpetuo, la dimissione ipso facto tocca soltanto il suo status di vita che gli deriva dalla incorporazione tamquam religiosus, mentre riguardo alla pena canonica si hanno due effetti diversi. Il religioso non chierico, essendo un laico incorre nella pena di interdetto latae sententiae. Se il religioso è un chierico, con la dimissione ipso facto perderà l’incorporazione all’istituto, ma non l’incardinazione in esso tamquam clericus che continuerà a conservare, non essendo previsti chierici acefali o vaghi, fino a quando non troverà un Vescovo benevolo che lo accolga o almeno gli consenta l’esercizio degli ordini sacri (cf. can. 701). Per questo il religioso, in quanto chierico, incorrerà nella pena della sospensione latae sententiae (cf. can. 1394 §1) e pur cessando con la dimissione ipso facto i voti e gli obblighi derivanti dalla professione, rimarrà legato all’Istituto attraverso l’incardinazione, ma sospeso dall’esercizio degli ordini sacri (cf. can. 701).
La dimissione dallo stato religioso non è una pena medicinale, di cui il can. 1312 §1, 1° prevede la scomunica, l’interdetto e la sospensione, ma non è neppure una pena espiatoria in quanto non annoverata tra quelle recensite al can. 1336, tanto più che per irrogare una pena perpetua si richiederebbe un processo giudiziale.
La dimissione ipso facto, di cui al can. 694, abbiamo già evidenziato che nulla ha a che vedere con la formula latae sententiae, perché essa non è una pena anche quando riguarda una fattispecie ex delicto come l’abbandono notorio della fede cattolica (§1) e l’attentato al matrimonio contratto anche solo civilmente da parte di un religioso di voti perpetui (§2). La punizione presuppone la legge cui è annessa una sanzione, ma il suo fondamento ultimo è l’imputabilità e la responsabilità di colui che viola la legge per dolo o colpa, le circostanze attenuanti ed esimenti. La dimissione ipso facto, al contrario, non è una pena soggetta alla discrezionalità del giudice, ma è una sanzione che deve essere obbligatoriamente imposta se il fatto è comprovato, indipendentemente dalle circostanze.
Quindi, la dimissione ipso facto dall’Istituto religioso non è una pena canonica, ma una sanzione genericamente detta che risponde prima di tutto all’esigenza della comunità religiosa di veder tutelata la propria identità strutturale. L’apostasia, l’eresia e lo scisma (can. 1364 §1) come pure il l’attentato al matrimonio (cf. can. 1394 §1) non provocano la dimissione per effetto del delitto commesso. La dimissione ipso facto è una sanzione autonoma rispetto alla pena perché il can. 694 non è una legge penale. Quindi, per il religioso che incorre nelle fattispecie contemplate dal can. 694 §§1-3 scatta la sanzione ipso facto, autonoma rispetto alla pena latae sententiae, perché detto canone non è una legge penale né sono da considerarsi delitti propriamente detti gli atti commessi che comportano la dimissione.