La scappatoia dell’allegoria. Testi ed esigenze della ragione
Eppure i greci non volevano rinunciare a quei canti, ormai fattisi testi. Sui libri omerici ed esiodei, inclusi i miti truculenti, si erano formati i giovani. Pertanto avevano due possibilità. La prima: rifiutare il racconto come tale. Tuttavia neppure Platone arriverà a un rifiuto assoluto. Persino Senofane, che in una elegia conviviale invitava a tralasciare canti di «lotte tra titani, giganti o centauri, tutte favole del tempo che fu, o contese fra città e città», raccomanda invece le tematiche che «rendono migliori» gli uomini (fr.1,19-24).
E mi fa pensare quello che mi raccontava mons. Andrea Drigani di una sua parrocchiana: “Antico Testamento? Ammazzamenti e porcherie!” Mi espressi con un languido sorriso. E invece c’è del vero e non poco. Ancora. Mi ricordo ragazzo. Il priore don Mauro, a Castello, mi chiese di dire insieme un po’ di breviario, quello vecchio. Nel mattutino leggevo sant’Agostino Sulla bugia. L’aulico latino al mysterium non mendacium mi si bloccò. Il mio parroco intervenne: “Bel discorso?” E di quei discorsi ce n’è a iosa. Mi ritrovo nell’assioma Quicquid recipitur, per modum recipientis recipitur «Tutto quello che si riceve, è ricevuto nel modo in cui lo si riceve» (san Tommaso d’Aquino), adatto non solo per l’idraulica, ma anche per l’interpretazione delle sacre Pagine: principio molto fluido, se c’è il padre Iefte uccisore della figlia tra i santi della Lettera agli Ebrei e lo stesso Iefte viene ritenuto folle e omicida. A questo punto però è la consapevolezza di un Vecchio Testamento sconcertante per le sue situazioni truculente, che qualcuno, meno male, ha commentato mediante la verità della ragione e la bontà del cuore: san Tommaso, Dante, Voltaire.
Ma che dico resie? Parce, Domine.
Ed anche il detto dantesco «e altro intende» (Paradiso iv,45), mentre tutta la …
è la decifrazione alessandrina di un senso recondito nella pagina biblica ascoso «sotto il velame de li segni strani», per dirla ancora col poeta (Inferno ix, 63).