di Giovanni Campanella • Alla fine di marzo 2019, la casa editrice Feltrinelli ha pubblicato, all’interno della collana “I Narratori”, un libro che ha già venduto molte copie, intitolato Il filo infinito. L’autore è Paolo Rumiz, grande viaggiatore triestino, che ha scritto numerosissimi libri riguardanti i suoi tanti giri intorno al mondo, intrecciandoli con temi di storia e attualità. È inviato speciale de Il Piccolo di Trieste ed editorialista de La Repubblica. Dal 1986 si è occupato degli eventi dell’area balcanica e danubiana; negli anni Novanta, durante la dissoluzione della Jugoslavia, fu corrispondente in Croazia e Bosnia-Erzegovina. Nel novembre 2001 fu inviato ad Islamabad, e successivamente a Kabul, per documentare l’attacco degli Stati Uniti d’America all’Afghanistan talebano.
Questa sorta di diario di viaggio è scritto in modo agile e forbito allo stesso tempo. È ricco di agganci storici e puntellato di rimandi a precedenti viaggi fatti nelle zone del mondo più disparate e di richiami a particolari personaggi incontrati in passato. Non sfugge che il mestiere di Rumiz sia appunto la scrittura: simboli e parole sono pesati e ricercati.
È un libro dedicato all’Europa. In una fase in cui il Vecchio Continente è vittima di spinte disgregazioniste, Rumiz vuole ricordare l’opera collante di san Benedetto e dei suoi seguaci, i quali, di fronte a violente orde barbariche, riescono a preservare il prezioso retaggio culturale greco-romano e del cristianesimo e a fondare una comune identità che diverrà la base per un percorso di fratellanza fra popoli anche molto diversi. Lo fa viaggiando, visitando e descrivendo vita e storia di secolari monasteri benedettini sparsi per l’Europa, in Italia, Svizzera, Germania, Francia, Belgio, Ungheria. Il titolo Il filo infinito rimanda appunto al legame tra questi presidi di preghiera e lavoro, a volte diversi nelle sensibilità e nei costumi ma sempre affratellati da una solida fondazione comune cristiana. Alle emergenti divisioni odierne il libro risponde con la memoria di Benedetto, possente baluardo di resistenza alla dissoluzione, minaccia che un millennio e mezzo fa era forse ancora più grave e pericolosa.
L’Europa è sempre stato uno spazio di migrazioni, talora pacifiche, talora violente. Con il loro esempio instancabile, i benedettini sono riusciti ad affascinare ed integrare tra loro persone diverse, rendendo sempre più ricco il bagaglio religioso, culturale e morale di cui sono secolari custodi. Sono sempre riusciti nell’impresa di trasformare il diverso da minaccia, apparente o reale, a vera ricchezza. In ciò sono preziosi e insostituibili maestri per i tempi attuali.
All’inizio del libro, Rumiz insieme ad alcuni compagni compie un viaggio a piedi lungo gli Appennini umbro laziali. Dopo aver attraversato alcuni paesini spettrali, deserti, vittime dei recenti terremoti, raggiungono Norcia. Lì Rumiz è molto colpito dalla statua del patrono d’Europa. L’imponente figura barbuta di san Benedetto si erge austera e indomita tra le rovine, puntando l’indice verso l’orizzonte davanti a sé. Tale visione, oltre a richiamare le difficoltà europee di fronte alle quali i benedettini si resero efficaci risolutori, dà all’autore l’idea di intraprendere il summenzionato viaggio tra varie abbazie del nostro continente. Tale idea viene effettivamente implementata più di un anno dopo, nel 2018.
La prima tappa di Rumiz è il monastero di Praglia, in Veneto. Nei suoi viaggi discute sempre di storia benedettina e politica attuale europea con i monaci ed eventuali visitatori come lui di passaggio. Un altro elemento che ricorre spesso nel libro è la produzione della birra, altro glorioso collante tra aree e monasteri anche lontani fra loro. La seconda tappa è Sankt Ottilien, in Baviera, dove conosce un eclettico monaco, appassionato di chitarra elettrica, padrone di undici lingue e a suo agio nei campi più disparati del sapere. Visita poi l’abbazia femminile di Viboldone in Lombardia. In Sud Tirolo, visita sia Muri Gries che Marienberg. Va poi a San Gallo, in Svizzera, dove purtroppo non ci sono più monaci ma rimane gelosamente custodita un’antica e importantissima biblioteca. Si avventura successivamente in Francia e raggiunge Cîteaux, culla dell’ordine benedettino cistercense. Sempre in Francia, arriva a Saint-Wandrille e dintorni. Spostandosi ancora più a nord, sconfina in Belgio e si ferma nel monastero trappista di Orval. Torna poi in Baviera, ad Altötting, dove rimane colpito dalla fervida pietà popolare, che ricorda più il nostro sud che la fredda Germania. Successivamente, sempre in Germania ma più a nord-est, approda alla più austera abbazia di Niederalteich. Si sposta poi più a oriente, in Ungheria, e arriva a Pannonhalma dove è negativamente impressionato dal contorno di emergente xenofobia, alimentata e cavalcata dal primo ministro Viktor Orbán. Torna infine in Italia, dove visita Camerino, nelle Marche, e il monastero benedettino dell’isola di San Giorgio Maggiore, situata di fronte a piazza San Marco a Venezia.