Il punto della Dottrina sociale della Chiesa sull’immigrazione
di Leonardo Salutati • La Dottrina sociale della Chiesa, a cominciare da Pio XII che affronta l’argomento in più occasioni, ha sviluppato un prezioso insegnamento sul fenomeno della migrazione che, come già sottolineava Benedetto XVI nella Caritas in veritate è, nei nostri tempi, «di natura epocale», tale da richiedere «una forte e lungimirante politica di cooperazione internazionale per essere adeguatamente affrontato», che sia accompagnata «da adeguate normative internazionali in grado di armonizzare i diversi assetti legislativi, nella prospettiva di salvaguardare le esigenze e i diritti delle persone e delle famiglie emigrate (…). Nessun Paese da solo può ritenersi in grado di far fronte ai problemi migratori del nostro tempo» (CV 62).
Il tema trova un trova un punto di sintesi nel n. 2241 del Catechismo della Chiesa Cattolica pubblicato nel 1992, che lo inquadra alla luce della dignità di ogni uomo e del dovere di rispettare i suoi diritti e che offre alcuni criteri di discernimento.
Un secondo criterio consiste nella «misura del possibile» riguardo al «dovere di accoglienza». Infatti se al migrante si deve garantire il rispetto del «diritto naturale» e la protezione, la politica migratoria ha il diritto/dovere di regolare i flussi, definire dei limiti, se necessari, alla permanenza dei migranti in un determinato Paese, tenere conto della situazione e dei bisogni dei Paesi di accoglienza, ottemperare alle norme di diritto internazionale, quali ad esempio quella sull’asilo politico, tenendo presente che un conto è soccorrere delle persone in mare, altra cosa è il garantirne la permanenza nel Paese di approdo. Al riguardo il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa pubblicato nel 2005, specifica al n. 298 che i flussi migratori devono essere regolati «secondo criteri di equità ed equilibrio» in modo che «gli inserimenti avvengano con le garanzie richieste dalla dignità della persona umana», al fine di favorire l’integrazione dell’immigrato «nella vita sociale» del Paese che lo accoglie, nell’orizzonte del bene comune.
Le esigenze del bene comune sono un terzo criterio offerto dal Catechismo per determinare le politiche migratorie. A questo proposito, da Gaudium et spes in poi, il tema del bene comune non è limitato ai confini dello Stato ma riguarda l’intera famiglia umana (GS 26), indicando un orizzonte che consideri tutti i fattori legati alle persone e alle società. È evidente, infatti, che la necessità dell’immigrazione emerge quando un precedente diritto fondamentale, ovvero quello di poter vivere nella propria terra, è stato violato a causa delle «diverse forme di sfruttamento e di oppressione economica, sociale, politica ed anche religiosa della persona umana e dei suoi diritti» (SRS 15) e della mancanza «della sicurezza e delle risorse necessarie alla vita che allo straniero non è possibile trovare nel proprio paese di origine» (CCC 2241). Tra l’altro va sottolineato che la migrazione priva i paesi di origine di forza lavoro, di energie e professionalità importanti, rendendoli ancora più poveri e fragili. Per cui se «Il diritto della persona ad emigrare – come ricorda la Costituzione conciliare Gaudium et spes al n. 65 – è iscritto tra i diritti umani fondamentali, con facoltà per ciascuno di stabilirsi dove crede più opportuno per una migliore realizzazione delle sue capacità e aspirazioni e dei suoi progetti (…) Nel contesto socio-politico attuale, però, prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra» (Benedetto XVI, 2013). Già San Giovanni Paolo II ammoniva che: «diritto primario dell’uomo è di vivere nella propria patria: diritto che però diventa effettivo solo se si tengono costantemente sotto controllo i fattori che spingono all’emigrazione» (Giovanni Paolo II, 1998), nonché se si favoriscono «tutte quelle condizioni che consentono accresciute possibilità di lavoro nelle proprie zone di origine» (CDSC 298). Pertanto, dovrebbe far parte di una seria politica migratoria anche il potenziamento e il monitoraggio dei meccanismi della cooperazione internazionale in modo da promuovere un vero sviluppo dei Paesi poveri.
Un ultimo criterio indicato dal Catechismo riguarda i doveri dell’immigrato che «è tenuto a rispettare con riconoscenza il patrimonio materiale e spirituale del paese che lo ospita, a obbedire alle sue leggi, a contribuire ai suoi oneri». La difficoltà o addirittura l’aperto rifiuto a integrarsi nella cultura del Paese di accoglienza, proprio di alcuni gruppi, costituisce un problema oggettivo sul quale sarebbe doveroso riflettere. Tale dovere però richiederebbe che il Paese di accoglienza avesse ben chiara la propria identità, per esigere il rispetto dei propri valori culturali, spirituali, sociali e giuridici che lo fondano. Una chiarezza che oggi sembra mancare ad un’Europa che ha rifiutato di riconoscere le proprie radici cristiane, con conseguenze che, in tema di immigrazione, ma non solo, sono sotto gli occhi di tutti.