di Gianni Cioli • Nell’imminenza della canonizzazione di Paolo VI può essere opportuno riconsiderare uno degli aspetti peculiari del suo insegnamento spirituale e morale, ovvero quello della dimensione pasquale della vita cristiana fondata nel mistero del battesimo.
Il tema del battesimo quale partecipazione al mistero pasquale appare uno dei motivi guida della riflessione di Papa Montini.
Già nell’Ecclesiam suam egli auspicava una profonda riscoperta della coscienza battesimiale da parte di ogni cristiano (AAS 56[1964], 625-626). Nel medesimo documento, cercando di mettere a fuoco i presupposti teologici del dialogo, egli presenta il battesimo come fondamento della singolarità della vita cristiana. In tale contesto emerge quella che si potrebbe definire la chiave di volta dell’interpretazione montiniana circa il primo sacramento: la teologia presentata da San Paolo nel sesto capitolo della Lettera ai Romani. (cf. Rm 6,3-10).
La prospettiva del battesimo quale vitale inserimento nel mistero pasquale viene approfondita nella Paenitemini, là dove si ricorda che il primo sacramento configura il cristiano «alla passione, alla morte e alla risurrezione del Signore, e sotto il sigillo di questo mistero pone tutta la vita futura del battezzato». In forza di questo fondamentale presupposto Paolo VI rammenta che il fedele, seguendo il Maestro, «dovrà non vivere più per sé stesso ma per colui che lo amò e diede sé stesso per lui, e dovrà vivere per i fratelli, dando compimento ‘nella sua carne a ciò che manca alle tribolazioni di Cristo… a pro del suo corpo che è la Chiesa’» (AAS 58[1966], 180).
Nelle sue catechesi Papa Montini ha sottolineato a più riprese l’intimo legame esistente fra il primo sacramento e l’agire morale. Egli paragona la fede battesimale, «il lumen Christi acceso nella notte della vita terrena», a una luce superiore, di fronte alla quale tutto il contenuto della realtà concreta della vita vissuta «prende forma, colore, misura, posizione, definizione». In questa fede il cristiano ha «tutto ciò che gli è indispensabile sapere per avere una visione sufficiente (anche se tuttora limitata e provvisoria) sul mondo, sulla vita, sul destino dell’uomo, e, in pratica, su ciò che è bene e ciò che è male» (Udienza generale, 12 maggio 1976).
Il battesimo, compreso nella sua pienezza di significato, «dà il senso della vera dignità della vita, distende allo sguardo dell’uomo la scala dei valori autentici, non lascia senza risposta, almeno nella vera speranza, alcun problema della vita». Esso conferendo alla vita la «gioia d’essere così interpretata» (Udienza Generale, 16 aprile 1975), «comporta un impegno morale: un forte nuovo e stupendo impegno morale» (Udienza generale, 8 maggio 1974).
La stessa realtà delle rinunzie e delle promesse poste come condizione al conferimento del primo sacramento fa chiaramente apparire tutta l’esistenza cristiana come segnata alla radice dal problema della scelta.
Una chiave interpretativa del significato teologico del sacramento la si può desumere secondo Paolo VI dal duplice simbolismo del rito: «il battesimo è un lavacro» ed è una «partecipazione mistica alla morte e alla risurrezione del Signore».
Esso, appare innanzitutto come lavacro: simbolo che rimanda alla misteriosa realtà del peccato originale da intendersi «come stato personale e proprio di ogni figlio di Adamo, impotente a redimersi da sé dalle conseguenze fatali del peccato del primo uomo» (Udienza generale, 13 aprile 1977).
La consapevolezza di tale realtà risulta di capitale importanza in ordine all’acquisizione di un corretto modo di pensare e quindi di agire. L’antropologia teologica non può ignorare il fatto che «l’uomo è un essere in cui è entrato un disordine, che possiamo dire disturbatore del suo disegno costituzionale». La scienza cristiana sull’uomo ha pure chiaro l’altro ordine di verità, «quello che ci prospetta una specie di duplicazione della nostra natura umana, sulla quale il pensiero ineffabile di Dio, a noi comunicato dalla fede, ha per così dire sovrapposto una ‘sopra-natura’, un ‘uomo nuovo’» ( Udienza generale, 20 aprile 1977).
Il secondo simbolismo del battesimo consiste nella «partecipazione mistica alla morte e risurrezione del Signore». Riconoscere tale partecipazione significa affermare un influsso del dramma di Cristo morto e risorto sulla concezione della nostra esistenza e sopra la conseguente moralità della nostra vita. Nel mistero di comunione che ci collega a Cristo, «non solo la nostra spiritualità, ma anche la nostra mentalità, la nostra concezione di vita, il nostro calcolo circa la nostra sorte futura sono trasferiti al di là del tempo, al di là dell’orizzonte presente; siamo polarizzati verso Cristo risorto, nel suo stato di gloria». Dobbiamo perciò, afferma Paolo VI, «vivere ‘escatologicamente’, cioè tesi verso il fine ultraterreno» (Udienza generale, 28 aprile 1971). È questo «uno dei canoni fondamentali della vita cristiana», che non svaluta, ma anzi valorizza il tempo presente.
Proprio perché polarizzata verso Cristo risorto, la vita cristiana non potrà mai prescindere dalla sequela di Gesù sulla via della croce: «se davvero siamo cristiani dobbiamo partecipare alla passione del Signore, e dobbiamo portare dietro i passi di Gesù, ogni giorno la nostra croce» (Udienza generale, 15 settembre 1971).
«Il fulcro della vita cristiana è la croce» (Udienza generale, 19 giugno 1974). Essa va vista «non solo come causa in Cristo della nostra redenzione; ma altresì come forma esemplare della nostra fedeltà […]. La passione di Cristo è comunicativa ai suoi seguaci» (Udienza Generale, 18 giugno 1975).
Per Paolo VI il tema della croce trova la sua concretizzazione pratica nell’ambito delle rinunzie che scaturiscono dalla coscienza battesimale del cristiano: «bisogna imporsi delle rinunzie, accettare una disciplina, scegliere una norma per essere forti, per essere fedeli, per essere cristiani. La croce segna la nostra vita».
La rinuncia cristiana, sottolinea Papa Montini, non è arbitraria, è stile autentico di vita cristiana: «primo perché comporta una classifica gerarchica dei suoi beni; secondo, perché stimola alla opzione della ‘parte migliore’; terzo, perché esercita l’uomo alla padronanza di sé; e finalmente perché istaura quella misteriosa economia della espiazione, che ci fa partecipi della redenzione di Cristo» (Udienza generale, 11 marzo 1970).
Il mistero pasquale «realizza in Cristo la sintesi della giustizia e della misericordia, dell’espiazione e del riscatto, della morte e della vita. Dolore e gioia non sono più irriducibili nemici. La legge sovrana del morire per vivere è la chiave per comprendere Cristo sacerdote e vittima, cioè nella sua essenziale funzione di salvatore» (Udienza generale, 19 aprile 1972).
In forza della sua Pasqua, Cristo ha fatto «dell’amore che così si dà fino al sacrificio, il principio fondamentale e fecondo della legge universale della moralità umana» (Udienza generale, 8 maggio 1974). Conseguentemente per il cristiano, associato per il battesimo a tale mistero di redenzione, trovare la vita morendo, o meglio diventando esistenzialmente partecipi della passione e della morte del Signore appare, per così dire, la legge sovrana dell’esistere: «Il compito di portare nel corpo e nell’anima la morte del Signore investe tutta la vita del battezzato, in ogni istante, in ogni sua espressione» (Paenitemini, ASS 58[1966], 180). Infatti «per il cristiano, è perdendosi in Dio che lo libera, che l’uomo trova la sua vera libertà, rinnovata nella morte e nella risurrezione di Gesù Cristo» (Octogesima adveniens, AAS 63[1971], 437). Seguendo Lui, «il Maestro, ogni cristiano deve rinnegare sé stesso, prendere la propria croce, partecipare ai patimenti di Cristo; trasformato in tal modo in una immagine della sua morte, egli è reso capace di meritare la gloria della risurrezione» (Paenitemini, ASS 58[1966], 180).
Per il cristiano la vita morale non può configurarsi altrimenti che come partecipazione al sacrificio di Cristo. Il rinnovamento morale è, secondo Papa Montini, «condizione dispositiva, che prepara l’incontro coi misteri della croce e della risurrezione di Cristo Signore, ed è conseguenza operativa per chi a tali misteri è stato associato» (Udienza Generale, 16 aprile 1975). Si può dire che tale rinnovamento morale consiste nell’esercizio del sacerdozio comune proprio di tutti i fedeli i quali, nel battesimo e nella cresima, hanno ricevuto «l’impronta di Cristo» (Udienza generale, 23 agosto 1967). L’esercizio del sacerdozio comune investe tutte le dimensioni dell’esistenza cristiana, trovando nell’Eucaristia il luogo della sua massima espressione.