Alcuni riflessioni sul termine «giudeo-cristiano» come fondamento dell’Europa
di Mario Alexis Portella · Dalla caduta del Muro di Berlino c’è stato un costante uso del termine “giudeo-cristiano” da parte di teologi, politici, storici e filosofi europei — Geert Wilders, un politico populista di destra nei Paesi Bassi, Jacques Derrida, un filosofo francese di sinistra, e il Papa emerito Benedetto XVI — come radice della società europea da resuscitare.
Anche negli Stati Uniti l’anno scorso il già Segretario di Stato, Mike Pompeo, ha sostenuto l’ebraismo, alla pari del cristianesimo, come un fondamento dei diritti umani in America e della società libera in occidente.
A parte che questo concetto “giudeo-cristiano” come radice europea è arbitrario, tale posizione è difficile da sostenere, almeno da un punto di vista storico.
condivisi dalle due religioni.
Joseph Wolff nel 1829, in riferimento a un tipo di chiesa che avrebbe osservato alcune tradizioni ebraiche per convertire gli ebrei.
Bible Belt, ed è spesso impiegato nei tentativi politici di limitare l’imposizione di diritti del movimento LGBT.
In Europa, però, fu solo alla fine del 19° secolo, in Germania, che la “tradizione giudaico-cristiana” fu utilizzata in modo saliente per la prima volta. Secondo l’ebreo Arthur Allen Cohen nella sua pubblicazione The Myth of the Judeo-Christian Tradition, and Other Dissenting Essays (1970), il termine fu introdotto dagli studiosi protestanti tedeschi per spiegare i risultati sviluppati dalla critica superiore dell’Antico Testamento e raggiunse un valore considerevole come termine polemico in quel periodo. Lì, chiaramente, il concetto negativo dell’espressione divenne primario. L’enfasi non cadde sulla comunanza della parola “tradizione”, ma sull’enfasi del trattino (tra “giudeo—cristiano”) per mostrare un apparente legame tra le due religioni.
Sebbene le tradizioni ebraica e cristiana risalgano fianco a fianco all’antichità. Tuttavia, in una società globale, la necessità di un fondamento morale che preesista a particolari forme di diritto positivo è sempre più evidente, come il Decalogo dato a Mosè da Dio. Qui si può dire che esiste un legame morale e storico tra l’ebraismo e il cristianesimo, nonostante il rifiuto del cristianesimo delle discipline draconiane della legge mosaica, come la lapidazione delle donne adultere che è stata abolito da Gesù Cristo.
Ogni volta che le discussioni si concentrano su come l’Europa percepisce se stessa e in particolare sui valori, è ancora comune — oggi apparentemente ancor più che in passato — parlare di un’Europa “cristiana”, o almeno fare riferimento alle sue radici cristiane e sottolineare il carattere cristiano che queste radici hanno prodotto.
Il cristianesimo non è iniziato in Europa, e quindi non può essere classificato come una religione europea. La religione cristiana, tuttavia, come disse una volta Benedetto XVI, ha ricevuto “in Europa la sua impronta culturale e intellettuale più efficace e rimane, quindi, identificata in modo speciale con l’Europa”.
Da un punto antropologico, l’Europa ha come radici la filosofia greca e il diritto romano — accolti e utilizzati dalla Chiesa Cattolica per diffondere la fede. E’ da considerare che nonostante alcuni contributi di alcuni ebrei, come il filosofo Maimonides, non si può paragonare l’ebraismo con il cristianesimo come un fondatore della struttura europea, specialmente siccome storicamente gli ebrei abitavano totalmente separati dagli altri europei nei ghetti. Infatti, l’Europa è diventata una società civile grazie solo al cristianesimo tramite uomini come San Benedetto e l’ordine monastico da lui fondato.
Ma la correttezza politica vieta tale interpretazione esclusiva della parola “cristiano”, almeno nel dibattito politico. Invece, i commentatori, anche con le migliori intenzioni, si affrettano a definirla invece come una tradizione “giudaico-cristiana” o un’eredità “giudaico-cristiana” dell’Europa.