di Stefano Liccioli • Nel mese di settembre Papa Francesco è intervenuto più volte sul tema delle comunicazioni sociali complice il fatto che in varie occasioni il Santo Padre ha incontrato, nel mese appena trascorso, rappresentanti del mondo della comunicazione. Cercherò di prendere spunto da alcune considerazioni che ha fatto Bergoglio durante queste udienze, allargando le mie riflessioni in particolare ai giovani ed al loro rapporto con i nuovi media. Nel rivolgersi ai rappresentanti dell’Unione Cattolica della Stampa Italiana (UCSI) il 23 settembre scorso Papa Francesco ha affermato:«La comunicazione ha bisogno di parole vere in mezzo a tante parole vuote. E in questo avete una grande responsabilità: le vostre parole raccontano il mondo e lo modellano, i vostri racconti possono generare spazi di libertà o di schiavitù, di responsabilità o di dipendenza dal potere. […] Da molti vostri predecessori avete imparato che solo con l’uso di parole di pace, di giustizia e di solidarietà, rese credibili da una testimonianza coerente, si possono costruire società più giuste e solidali. Purtroppo però vale anche il contrario. Possiate dare il vostro contributo per smascherare le parole false e distruttive». Ha aggiunto poi il Santo Padre:«Nell’era del web il compito del giornalista è identificare le fonti credibili, contestualizzarle, interpretarle e gerarchizzarle. Porto spesso questo esempio: una persona muore assiderata per la strada, e non fa notizia; la Borsa ribassa di due punti, e tutte le agenzie ne parlano (cfr Esort. Ap Evangelii gaudium, 53). Qualcosa non funziona.». Su questa linea, nel discorso che il pontefice ha fatto alla delegazione della testata giornalistica regionale della RAI la settimana precedente all’incontro con l’UCSI, mi ha colpito il suo invito a raccontare anche ciò che, secondo i più diffusi criteri editoriali, non farebbe notizia:«L’informazione locale non è da considerare “minore” rispetto a quella nazionale. Anzi, direi che è la più genuina e la più autentica del mondo mass-mediale, in quanto non risponde alle esigenze di profitto o di messaggi da comunicare, ma è chiamata a trasmettere unicamente la voce della gente, in tutti i suoi aspetti e nei diversi momenti della vita sociale, culturale e spirituale, ed ha un compito altrettanto importante nel valorizzare le realtà e le culture locali, senza le quali anche l’unità della nazione non esisterebbe».
Rispetto al passato, ora gli adolescenti ed i giovani abitano il mondo della comunicazione, soprattutto della comunicazione digitale, in maniera attiva producendo contenuti non solo scritti, ma fatti anche di immagini che spesso hanno una grande diffusione in particolare attraverso i social media. Strumenti a cui essi hanno un facile accesso ed in cui spesso dimostrano una certa dimestichezza che in molti casi però non è accompagnata da un’adeguata consapevolezza. Le parole del Santo Padre dovrebbero guidare genitori, insegnanti ed educatori in generale nell’accompagnare ragazzi e ragazze nell’uso responsabile dei mezzi di comunicazione digitale. L’invito all’autenticità ed alla ricerca della verità è un richiamo fondamentale, ad esempio, perché ci porta ad aiutare i giovani a mostrarsi per quelli che sono, senza indossare maschere ed a diffondere solo notizie ed informazioni su stessi e gli altri che siano vere e verificate. Questo comporta combattere la facile tendenza a diffondere fake news e c’incoraggia a far sviluppare nelle nuove generazioni un approccio critico al mondo dell’informazione. In questa prospettiva è altrettanto significativa la proposta di raccontare «le “buone notizie” che generano amicizia sociale: non di raccontare favole, ma buone notizie reali; di costruire comunità di pensiero e di vita capaci di leggere i segni dei tempi». Come operatori della comunicazione ci viene facile indulgere più sugli aspetti negativi che su quelli positivi del mondo che ci circonda, ma dobbiamo invece raccontare, per citare un celebre apologo, non solo l’albero che cade e che fa rumore, ma anche la foresta che cresce in silenzio. E dobbiamo educare ragazzi e ragazze a fare altrettanto e cioé a scoprire e parlare delle cose belle che abbiamo e che ogni giorno ci vengono donate, ma che spesso diamo per scontate
Infine trovo molto importante la sottolineatura del Papa sul sapere usare, quando si comunica, parole di pace, di giustizia e di solidarietà. Sta infatti dilagando nella Rete il fenomeno degli haters, uomini e donne di ogni estrazione sociale che, nascondendosi dietro ad un nickname, trasformano i social network in un luogo di odio più che di sereno scambio di idee. L’hate speech, così come viene definito, può essere originato da conversazioni su temi di un certa pregnanza come la religione, l’etnia, il credo politico oppure da questioni banali come un film o un cantante. Quello che rimane costante è la violenza dell’insulto che si amplifica quando la discussione coinvolge altri haters, prendendo di mira, sovente, qualcuno. Teatro di questi scontri feroci sono le chat di gruppo o le più famose piattaforme social.
I giovani non sono immuni da queste dinamiche, ma ci si immergono, anche con un ruolo attivo, diventando dei cyberbulli, veri e propri aguzzini dei loro coetanei.
Gli adulti non possono rimanere indifferenti davanti a tutto ciò. Devono provare a riuscire a prendere le redini di questo fenomeno che sta infestando la Rete, intervenendo sulle nuove generazioni, difendendole da questa spirale d’odio ed educandole ad un’etica del rispetto e della gentilezza, anche nel mondo digitale che non è meno vero di quello reale solo perché appunto digitale. A tal proposito mi sembra interessante l’iniziativa chiamata “Il manifesto della comunicazione non ostile” (vedi), un decalogo da condividere con tutti, dai bambini in su, per farli crescere nella consapevolezza che la comunicazione serve a creare la comunione tra le persone e non l’odio e la divisione.