di Leonardo Salutati • Anche se non sono mancate voci profetiche come quella di A. Rosmini che sosteneva il principio del sacerdozio comune dei fedeli, in generale si ritiene che laicità sia un frutto della modernità e del processo moderno di secolarizzazione. Il tema è però anche un argomento dei documenti sociali della Chiesa ed esiste una teoria cattolica della laicità. Il tema della laicità è pertanto presente fin dalle origini nei documenti sociali della Chiesa, tanto che, come notava Benedetto XVI nella Caritas in veritate (cf. CV 12), non si può distinguere un dottrina sociale preconciliare da quella postconciliare.
Alla fine dell’Ottocento nel momento in cui la Chiesa si rende conto che il mondo operaio si stava progressivamente allontanando dalla vita ecclesiale, si sente sollecitata a riconsiderare il ruolo dei laici. Sarà Leone XIII che li inviterà ad un nuovo coinvolgimento e, pur restando i laici un soggetto ecclesialmente dipendente dal clero e dalle sue indicazioni per agire nel mondo, il loro apporto comincerà ad essere ritenuto necessario come mediazione di un’offerta di salvezza ad un’umanità ormai lontana dalla fede.
La Rerum novarum è spesso proposta come la prima enciclica della “modernità” nel senso che essa sarebbe stata la prima enciclica dopo che, con la modernità, politica e religione si erano separate, aprendo una fase storica di laicità e di secolarizzazione, ma anche perché nell’enciclica ci sarebbe una sostanziale apertura alla laicità moderna che prima non si dava. In realtà le prime parole di Rerum novarum non suonano come una felice apertura alle cose nuove, ma come la riprovazione per l’insensato inseguire le cose nuove che dal piano politico era sceso sul terreno sociale ed economico (cf. RN 1).
L’enciclica leoniana non accetta la secolarizzazione della modernità e la visione moderna sulla laicità, caratterizzata dal razionalismo, dalla scelta per l’autosufficienza dell’uomo e del suo mondo, dal rifiuto del peccato originale e dello stato decaduto dell’umanità, dalla pur legittima autonomia del mondo umano dalla sfera religiosa che però è accompagnata dal rifiuto della religione e dalla rivendicazione di una completa autosufficienza dell’uomo, dal diffondersi del rifiuto della trascendenza che produce alla fine un’immanenza priva di senso. In questo senso Rerum novarum rimane sulla linea di Pio IX e delle precedenti encicliche leoniane, nella convinzione, ribadita in tutti i documenti sociali del magistero, che non esiste soluzione alla questione sociale fuori del Vangelo (CA 5), ma anche nella consapevolezza dell’urgenza di una risposta adeguata alle esigenze dei tempi.
L’origine della questione sociale non è denunciata da Leone XIII solo in processi materiali, ma piuttosto nell’allontanamento di leggi ed istituzioni dal fondamento cristiano, che ha lasciato gli operai «soli e indifesi in balia della cupidigia dei padroni e di una sfrenata concorrenza» (RN 2), frutto negativo della secolarizzazione moderna.
Sotto questo aspetto Rerum novarum pur respingendo l’idea di laicità come assoluta autonomia del mondo umano dalla religione cristiana, accoglie il principio di laicità quando si tratta di considerare adeguatamente la dimensione umana, e non solo religiosa, dei problemi.
Un esempio chiarificatore è la richiesta del «riposo festivo» per i lavoratori. Leone XIII lo fonda su due necessità; quella di rendere il debito culto a Dio e quello di riposare le membra (RN 32-33), ovvero la necessità religiosa e quella laica. I due aspetti non si contrappongono, ma si illuminano vicendevolmente. Ai tempi della Rerum novarum, in Italia, nelle campagne del Veneto, i cattolici si battevano per il riposo domenicale in senso religioso e così facendo proteggevano anche i diritti dei lavoratori. Il socialismo e l’anarchismo invece predicavano l’ateismo e volevano lottare solo per il diritto di fare riposare le membra, ma in questo modo, alla fine, non si è conseguito pienamente questo risultato ovvero, una volta conseguito, lo si può perdere. Ai giorni nostri, dopo secoli di lotte sindacali, i lavoratori sono obbligati a lavorare anche la domenica! Ecco perché, nell’enciclica, il vero rimedio è indicato nel Vangelo: «…se ai mali del mondo v’è un rimedio, questi non può essere altro che il ritorno alla vita e ai costumi cristiani» (RN 22); «… il vero e radicale rimedio non può venire che dalla religione, si persuadano tutti quanti della necessità di tornare alla vita cristiana, senza la quale gli stessi argomenti stimati più efficaci, si dimostreranno scarsi al bisogno» (RN 45); «La salvezza desiderata deve essere principalmente frutto di una effusione di carità; intendiamo dire quella carità cristiana che compendia in sé tutto il Vangelo e che, pronta sempre a sacrificarsi per il prossimo, è il più sicuro antidoto contro l’orgoglio e l’egoismo del secolo» (RN 45).