di Carlo Parenti • Quando ero da poco laureato commentavo- nei primi anni degli anni 80 del secolo scorso- i discorsi che Papa Giovanni Paolo II faceva nei suoi viaggi pastorali all’estero. Questo avveniva nella parrocchia di San Romolo a Colonnata, situata ai piedi del monte Morello, nella zona nord di Sesto Fiorentino, su invito di don Sivano Nistri, grande storico della nostra Chiesa fiorentina, che ne era il parroco. Allora non vi era internet. Così per documentarmi compravo L’Osservatore Romano. Era un abitudine che avevo preso grazie a Giorgio La Pira che alle lezioni di diritto romano ci ricordava che «Pietro è al timone di una barca – la barca di Pietro – destinata ad attraversare tutti i popoli, tutte le nazioni, tutte le civiltà e tutti i secoli! Se volete comprendere la rotta di questa barca dovete leggere i discorsi del Papa. Questi li trovate per intero su L’Osservatore Romano »
Ho conservato questa curiosità e ho seguito anche il recente viaggio apostolico di Francesco nei paesi baltici (Lituania, Lettonia ed Estonia).
Mi ha particolarmente colpito il discorso di domenica 23 settembre 2018 rivolto dal Papa ai Sacerdoti, Religiosi/e, Consacrati/e, Seminaristi lituani nella cattedrale dei SS. Pietro e Paolo a Kaunas.
Francesco ha esordito con una lunga introduzione a braccio: «Viene in mente una parola per cominciare: non dimenticatevi, abbiate memoria, siete figli di martiri, questa è la vostra forza! E lo Spirito del mondo non venga a dirvi qualche altra cosa diversa da quella che hanno vissuto i vostri antenati. Ricordate i vostri martiri, prendete esempio da loro: non avevano paura!».
Poi il Santo Padre ha annotato il saluto di benvenuto rivoltogli dal vescovo francescano Linas Vodopjanovas: «Il vescovo ha parlato senza sfumature. I francescani parlano così. Oggi spesso in vari modi viene messa alla prova la nostra fede, ha detto lui. Lui pensava ai dittatori che perseguitano, no! Dopo aver risposto alla chiamata della vocazione, spesso non proviamo più gioia nella preghiera né nella vita comunitaria. Lo spirito della secolarizzazione, la noia per tutto quello che tocca la comunità, è la tentazione della seconda generazione. I nostri padri hanno lottato, hanno sofferto, sono stati carcerati, e forse noi non abbiamo la forza di andare avanti. Tenere conto di questo».
Francesco ha poi citato san Paolo che «nella Lettera agli Ebrei fa un’esortazione: “Non dimenticatevi dei primi giorni. Non dimenticatevi dei vostri antenati” (cfr 10,32-39)”. Questa è l’esortazione che all’inizio rivolgo a voi».
Così ha osservato che «si geme per la schiavitù della corruzione, per l’anelito alla pienezza. E oggi ci farà bene domandarci se quel gemito è presente in noi, o se invece nulla più grida nella nostra carne, nulla anela al Dio vivente». Ed in parte a braccio ha aggiunto: «Cari, noi non siamo funzionari di Dio! La società del benessere forse ci ha resi troppo sazi, pieni di servizi e di bene e ci ritroviamo appesantiti di tutto e pieni di nulla; forse ci ha resi storditi o dissipati, ma non pieni. Peggio ancora: a volte non sentiamo più la fame. Siamo noi, uomini e donne di speciale consacrazione, coloro che non possono mai permettersi di perdere quel gemito, quell’inquietudine del cuore che solo nel Signore trova riposo (cfr S. Agostino, Confessioni, I,1,1). L’inquietudine del cuore. Nessuna informazione immediata, nessuna comunicazione virtuale istantanea può privarci dei tempi concreti, prolungati, per conquistare – di questo si tratta, di uno sforzo costante – per conquistare un dialogo quotidiano con il Signore attraverso la preghiera e l’adorazione. Si tratta di coltivare il nostro desiderio di Dio, come scriveva san Giovanni della Croce. Diceva così: «Sia assiduo all’orazione senza tralasciarla neppure in mezzo alle occupazioni esteriori. Sia che mangi o beva, sia che parli o tratti con i secolari o faccia qualche altra cosa, desideri sempre Dio tenendo in Lui l’affetto del cuore» (Consigli per raggiungere la perfezione, 9).».
Bergoglio ha quindi spiegato quale sia l’origine di quel gemito, che «deriva anche dalla contemplazione del mondo degli uomini, è un appello alla pienezza di fronte ai bisogni insoddisfatti dei nostri fratelli più poveri, davanti alla mancanza di senso della vita dei più giovani, alla solitudine degli anziani, ai soprusi contro l’ambiente. È un gemito che cerca di organizzarsi per incidere sugli eventi di una nazione, di una città; non come pressione o esercizio di potere, ma come servizio […]Ascoltare la voce di Dio nella preghiera ci fa vedere, udire, conoscere il dolore degli altri per poterli liberare. Ma altrettanto dobbiamo essere colpiti quando il nostro popolo ha smesso di gemere, ha smesso di cercare l’acqua che estingue la sete. È un momento anche per discernere che cosa stia anestetizzando la voce della nostra gente».
Discorso rivolto ai consacrati, ma quanto vale anche per tutti noi laici!
E mi colpisce così, leggendo anche i giornali sulla situazione politica italiana, come ci si attardi in pettegolezzi inutili e appunto anestitezzanti, invece di riflettere sui messaggi dell’unico leader planetario che nel cambiamento d’epoca che stiamo vivendo ha una vision che difende i valori della persona contro le derive materialistiche e indica percorsi di “salvezza” individuali e sociali.