di Stefano Tarocchi • «Dal ponte nasce anche il pontefice, il «sacerdote che costruisce la via» […] Augusto fece propria la carica. Essa sarebbe rimasta prerogativa di tutti i successivi imperatori, fino all’era cristiana inoltrata, fin quando nella Chiesa cattolica, il titolo fu presto usato per indicare i vescovi, e in particolare il vescovo di Roma». Ogni giorno di più […] «vediamo bene quanto è difficile per il vescovo di Roma indicare una via, senza che non sorgano frange estreme intenzionate a demolire il suo ruolo, nell’attaccare la persona».
Così concludevo nel numero precedente de Il Mantello della Giustizia (Ponti e pontefici, Il Mantello della Giustizia, Settembre 2018): mi si passi l’autocitazione.
Vorrei adesso completare il percorso, riprendendo alcuni fili neotestamentari, in particolare della lettera agli Ebrei.
Mi soffermerò in particolare su due termini, lasciando ad altri momenti l’esame della terminologia del sommo-sacerdozio di Cristo. Così la lettera agli Ebrei: dato che «abbiamo un sommo sacerdote grande, che è passato attraverso i cieli, Gesù il Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della fede» (Eb 4,14); d’altronde, «Cristo è venuto come sommo sacerdote dei beni futuri, attraverso una tenda più grande e più perfetta, non costruita da mano d’uomo, cioè non appartenente a questa creazione. Egli entrò una volta per sempre nel santuario, non mediante il sangue di capri e di vitelli, ma in virtù del proprio sangue, ottenendo così una redenzione eterna» (Eb 9,11-12).
I termini qui affrontati sono archegós, letteralmente «colui che apre la strada» – ed è il contatto più grande con l’immagine del pontefice sopra delineata –, e mesítês, «mediatore».
Il primo termine (archegós) è usato anche negli Atti degli Apostoli, dove peraltro appare senza una traduzione adeguata nella versione ufficiale CEI, ma solo come un ricalco del latino auctor della Vulgata. Infatti, quando Pietro parla davanti al popolo dopo aver guarito l’uomo «storpio fin dalla nascita» che siede accanto alla «porta Bella», pronuncia delle parole estremamente limpide: «avete ucciso l’autore della vita, ma Dio l’ha risuscitato dai morti: noi ne siamo testimoni» (At 3,15).
Il titolo attribuito al Cristo («colui che apre la strada» della vita), viene usato ancora da Pietro davanti al sinedrio: «Dio lo ha innalzato alla sua destra come capo e salvatore, per dare a Israele conversione e perdono dei peccati» (At 5,31).
Ragione di più per capire l’evidenza con cui la lettera agli Ebrei mette in luce ancora una delle sfaccettature del medesimo ruolo di Cristo: «conveniva che Dio – per il quale e mediante il quale esistono tutte le cose, lui che conduce molti figli alla gloria – rendesse perfetto per mezzo delle sofferenze il capo che guida alla salvezza» (Eb 2,10).
Ancora, tale termine si trova nella sezione esortativa della lettera, quando l’anonimo autore scrive ai suoi destinatari: «anche noi, circondati da tale moltitudine di testimoni, avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento. Egli, di fronte alla gioia che gli era posta dinanzi, si sottopose alla croce, disprezzando il disonore, e siede alla destra del trono di Dio» (Eb 12,1-2).
Qui, accanto al ruolo di Gesù come «colui che apre la strada della fede», viene aggiunta anche la dimensione sacerdotale dell’intero popolo di Dio, come avviene anche poco prima: «con un’unica offerta egli ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati» (Eb 10,14).
Questo ruolo di Gesù viene espresso anche nel suo ruolo di mediazione fra Dio e gli uomini (il Cristo come mesítês, «mediatore»), che la lettera agli Ebrei mette in luce fino dalle prime righe: il Cristo «doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e degno di fede nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo (Eb 2,17). E così ancora troviamo: «egli ha avuto un ministero tanto più eccellente quanto migliore è l’alleanza di cui è mediatore, perché è fondata su migliori promesse» (Eb 8,6): «per questo egli è mediatore di un’alleanza nuova, perché, essendo intervenuta la sua morte in riscatto delle trasgressioni commesse sotto la prima alleanza, coloro che sono stati chiamati ricevano l’eredità eterna che era stata promessa» (Eb 9,15).
C’è tuttavia un testo che mette a confronto impietosamente la prima alleanza e quella stabilita dal Cristo: «voi non vi siete avvicinati a qualcosa di tangibile né a un fuoco ardente né a oscurità, tenebra e tempesta, né a squillo di tromba e a suono di parole, mentre quelli che lo udivano scongiuravano [Dio] di non rivolgere più a loro la parola. Non potevano infatti sopportare quest’ordine: Se anche una bestia toccherà il monte, sarà lapidata. Lo spettacolo, in realtà, era così terrificante che Mosè disse: Ho paura e tremo. Voi invece vi siete accostati al monte Sion, alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a migliaia di angeli, all’adunanza festosa e all’assemblea dei primogeniti i cui nomi sono scritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti resi perfetti, a Gesù, mediatore dell’alleanza nuova, e al sangue purificatore, che è più eloquente di quello di Abele» (Eb 12,18-24).
Stabilendo un paragone tra gli elementi della manifestazione divina, la terrificante teofania dell’Esodo (si vedano in particolare «oscurità, tenebra e tempesta», e le stesse parole di Mosè: «ho paura e tremo»), paragonate «all’adunanza festosa e all’assemblea dei primogeniti i cui nomi sono scritti nei cieli», la lettera agli Ebrei va oltre il testo del Deuteronomio: «il Signore vi parlò dal fuoco; voi udivate il suono delle parole ma non vedevate alcuna figura: vi era soltanto una voce» (Dt 4,12). Ebbene, il nome divino non si trova nel testo greco ma nella sola traduzione italiana, al fine di rendere più comprendibile il testo. La lettera agli Ebrei lo omette, al fine di evidenziare l’incapacità assoluta della mediazione dell’alleanza di Mosè.
Il mediatore è tale in virtù del fatto che Cristo stesso si è fatto colui che apre la strada della fede, della salvezza e della vita a tutti gli uomini: «uno solo è Dio e uno solo anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù» (1 Tim 2,5).
Se il pontefice è colui che costruisce strade, il Cristo è colui che percorre per primo quelle che ha aperto per tutti gli uomini.