di Dario Chiapetti • Il celebre Cantico di frate Sole risulta ancora oggi un componimento dai contenuti attuali che svelano sempre meglio la figura del suo Autore, Francesco d’Assisi.
Innanzitutto, il primo aspetto che dall’esame del testo balza all’occhio anche, e soprattutto, a noi post-moderni è quello, per così dire, esistenziale. La stesura del Cantico avvenne nel 1225, poco più di un anno prima della morte del Poverello, “quand’era ormai – si legge nella Compilatio Assisiensis – gravemente infermo e soprattutto sofferente d’occhi”. Ha osservato Jacques Dalarun al festival francescano di Bologna del 2015 [cf. Dino Dozzi (ed.), Sorella Terra. Il cantico di san Francesco, Edizioni Messaggero, Padova 2016]: “La lauda non è un canto nato nella gioia e nella serenità. Esce dal buio, dal freddo e dalla sofferenza […] da un dramma”. Non siamo in presenza di un inno di giubilo sulla scia di un vago sentimentalismo e generico naturalismo che non conoscono, e quindi misconoscono, la tenebra del dolore, ma di una vera e propria “teologia della lode”, come ha puntualizzato Massimo Cacciari nel suddetto evento, elaborata proprio a partire dalla e grazie alla profonda esperienza di Dio, del mondo e di sé che Francesco – attraverso l’autorivelazione del Crocifisso, come già aveva spiegato Bonaventura – ha compiuto: solo l’esperienza della visio dell’amore del Crocifisso apre all’orizzonte vasto della veritas di Dio, della creazione e della redenzione.
Entrando nel testo del Cantico, appare un secondo aspetto di grande interesse: quello cosmologico. “Altissimu, onnipotente, bon Signore, Tue so’ le laude”. Le parole con le quali inizia la lauda mostrano come la lode spetta a Dio e a Dio solo, anzi, come sia Dio che, innanzitutto, loda sé, non autoreferenzialmente ma nelle relazioni tra le Persone Divine. Il Cantico presenta poi le creature coinvolte nella lode e specialmente frate Sole, sora Luna, le stelle e i quattro elementi naturali: frate Vento, sor’Acqua, frate Focu, e sora et matre Terra. L’accostamento tra questi soggetti e la nozione di lode è presentato dall’Assisiate – osserva Cacciari – all’insegna delle preposizioni, certo non impiegate casualmente, del cum e del per. Francesco, mettendo in chiaro all’inizio del suo inno che la lode di cui sta trattando è la lode a/di Dio, sta sgomberando il campo da interpretazioni della natura come res extensa alla maniera della scienza moderna o physis alla maniera plotiniana. La natura ha un’anima ricevuta dall’azione creatrice di Dio e in Questi continuamente sussistente; pertanto in essa è iscritta ontologicamente la lode. Cum e per: io lodo il Signore con e per mezzo di tutte le creature.
Non solo la natura è creatura animata che loda Dio ma la Terra (sorella come gli altri tre elementi) è anche madre. “Ecco – sostiene Delarun – il programma politico del Poverello: la maternità relativa nella fraternità assoluta; un governo materno agli antipodi del dominio paterno. L’unico autentico Padre è nei cieli”.
Se la lode è comunione, il Cantico può anche rappresentare un invito al dialogo interreligioso; se la preghiera è lode al Creatore, si comprende bene come essa sia da intendersi, in questo suo nucleo fondante, come il volgersi a Dio da parte di uomini di ogni religione, così come gli incontri di Assisi stanno luminosamente mostrando.
Il riconoscere insieme l’unico Creatore – che non significa certo l’abolizione delle differenze confessionali, anzi, in quanto il dialogo tra esse le deve presupporre – permette l’individuazione di un ulteriore tema: il rapporto tra creazione e pace. La relazione tra uomo e natura è stretta come papa Francesco ha messo in luce nella sua enciclica Laudato si’: “Dimentichiamo che noi stessi siamo terra (cf. Gen 2,7). Il nostro stesso corpo è costituito dagli elementi del pianeta”, ma il male nasce nel cuore dell’uomo e si riversa sulla natura: “La violenza – prosegue il papa – che c’è nel cuore umano ferito dal peccato si manifesta anche nei sintomi di malattia che avvertiamo nel suolo, nell’acqua, nell’aria e negli esseri viventi”. Per Delarun, a tale situazione il Cantico risponde col suo programma “economico e sociale”: Francesco “inscrive la questione della pace sociale nella prospettiva dell’armonia del mondo […] la radice del male, che mette in pericolo non solo il peccatore e la società umana ma anche l’equilibrio funzionale della creazione, sta nel cuore dell’uomo quando rifiuta la fraternità con i viventi”.
Ciò permette di porre attenzione a un altro tema, attualissimo: quello del perdono. Le creature danno lode a Dio perché esistono, è una bontà ontologica la loro, l’uomo, invece, che dà lode è solo colui che perdona: “Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano”. La visione di Francesco è profondamente teologica: l’uomo che perdona, cioè che accoglie l’altro, è l’uomo che, come Cristo, in Cristo, svuota sé di se stesso; è questa l’altissima paupertas.
Da ultimo, il tema della morte. Cacciari coglie la singolare connessione tra questa e il perdono. La morte è lodata come sora, in quanto non è essa la vera morte ma il momento in cui l’uomo può decidere da che parte stare, da quella di chi ha perdonato e perdona, e quindi loda Dio, oppure no. “Quello che lodo – conclude il filosofo – non è la morte, ma è quel momento che mi rivelerà se sono capace di perdono oppure no, e lodo quel momento perché quel momento mi rivelerà, rivela chi sono […] la morte è la morte per chi non ha saputo perdonare […] Chi ha saputo donare e perdonare è immortale: questa è la grande idea”.
San Francesco è figura che dischiude tanti tesori di sapienza e di scienza, molti dei quali ancora da scoprire, e che permettono di entrare in modo ancora più diretto nel cuore del pensiero di papa Bergoglio che dello spirito dell’Assisiate tanto è informato.