Tradurre è tradire? Il messale, la nuova traduzione italiana e la Chiesa
Tale brevissima presentazione dell’aspetto esteriore della nuova edizione italiana del Messale Romano serve a trattare più direttamente delle strategie di traduzione utilizzate. In effetti, questa compresenza di elementi nuovi e antichi, di forme antiche che accolgono espressività moderne, ben rappresenta proprio lo stile di traduzione che si rintraccia in questa nuova opera. Vi si avverte la preoccupazione di non appiattire la variatio dell’originale latino a causa di una traduzione sciatta. D’altra parte proprio questa preoccupazione rende conto di come il linguaggio liturgico – per quanto adattabile a sensibilità nuove – mantenga una propria identità inalienabile, fatta di stilemi e lessico che permangono nel corso del tempo.
Vi è anche un’altra possibilità che appartiene all’atto del tradurre. Ed è, a ben vedere, l’esatto opposto del tradimento del testo della lingua di partenza. Non ci riferiamo tanto a quello che in linguistica va sotto il nome di “forestierismi”, che nell’apparente fedeltà alla lingua originaria sono in realtà una dichiarazione di fallimento nell’opera di traduzione. Ci riferiamo a qualcosa di diverso, anzi radicalmente diverso.
Si tratta cioè di quell’opera delicatissima e mai completa che consiste nella appassionata e competente ricerca di una traduzione capace, addirittura, di meglio far comprendere il testo di origine. Qui la traduzione acquista i tratti dell’ermeneutica, è un’opera interpretativa che svela il nascosto sotto la schiettezza della mera parola. Ha un compito interpretativo e rivelativo. Qui la traduzione è un’arte, un’arte che poi nel caso della liturgia e della vita della Chiesa si riveste di una componente teologica decisiva.
Se intendiamo così l’atto del tradurre, allora tradurre nella liturgia e nella Chiesa significa contribuire all’approfondimento dell’autocoscienza che la Chiesa ha di se stessa. Tradurre è svelare verità nascoste, che mediante quest’arte emergono alla coscienza della comunità dei credenti. Per questo la traduzione liturgica non potrà mai essere solo un settore della linguistica, ma parte integrante della teologia.
In questo caso, tradurre significa allora trasmettere, piuttosto che tradire. Trasmettere e affidare alle varie culture e alle varie lingue il contenuto della fede, in modo tale che di tutto quello che si crede e che si prega cresca la comprensione.