di Stefano Tarocchi · San Girolamo: infaticabile studioso, grande conoscitore dei classici, traduttore, esegeta, profondo conoscitore e appassionato divulgatore della Sacra Scrittura: «l’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo».
Così il papa Francesco nella lettera dal titolo eloquente «Un amore per la Sacra Scrittura» (Sacrae Scripturae Affectus), nel sedicesimo centenario della morte di San Girolamo, avvenuta il 30 settembre 420. Girolamo era nato a Stridone, in Illiria (oggi Croazia) nel 345.
Come testimonia la visione che ebbe nella Quaresima del 375 (“sei ciceroniano, non cristiano”), «egli aveva amato fin da giovane la limpida bellezza dei testi classici latini, al cui confronto gli scritti della Bibbia gli apparivano inizialmente rozzi e sgrammaticati troppo aspri per il suo raffinato gusto letterario». L’episodio testimonia il passaggio alla decisione di dedicarsi interamente a Cristo e alla sua parola, con il suo infaticabile lavoro di traduttore e commentatore, servitore della parola di Dio e come innamorato della “carne della Sacra Scrittura”.
Dopo aver abbandonato la città di Aquileia e una comunità creata dal vescovo Valeriano, Girolamo ritorna a Roma nel 382, dove negli anni tra il 358 e il 364 era stato battezzato.
Nel frattempo, verso l’anno 374, passando per Antiochia di Siria (nell’attuale Turchia) si era ritirato nel deserto di Calcide, l’antica città situata a quaranta chilometri da Aleppo, e si era dedicato a una vita ascetica il cui maggior spazio è riservato allo studio delle lingue bibliche. Il deserto gli appare come una delle occasioni fondamentalmente esistenziale nell’incontro con Dio. Ad Antiochia verrà ordinato presbitero dal vescovo Paolino nel 379.
A Roma Girolamo si era posto al servizio di papa Damaso, di cui diventato era stretto collaboratore, fino a quando, due anni dopo la morte del papa, si era recato a Betlemme. Siamo nel 386: Girolamo sente il bisogno di ritornare in quella terra che aveva scoperto in varie occasioni.
Accompagna Girolamo a Betlemme un gruppo di donne, fra cui Paola ed Eustochio, madre e figlia, con cui si stabilisce presso la grotta della Natività a Betlemme: qui fonda due monasteri: uno maschile e uno femminile.
Nella Sacra Scrittura Girolamo trova sé stesso, il volto di Dio e quello dei fratelli, e affina la sua predilezione per la vita comunitaria: così annota il papa Francesco. Già da giovane, ad Aquileia, voleva fondare comunità monastiche, perseguendo l’ideale di una vita religiosa in comune, che vede il monastero come palestra per formare persone felici nella povertà e capaci di insegnare con il proprio stile di vita. Le virtù amate da Girolamo (l’umiltà, la pazienza, il silenzio e la mansuetudine) sono il terreno ideale su cui si sviluppa la sua spiritualità.
Nel sottolineare come la cultura di Girolamo sia necessaria ogni evangelizzazione, papa Francesco mette in luce alcune parole di straordinaria attualità. Scriveva, infatti, Girolamo all’amico Nepoziano: «la parola del presbitero deve prendere sapore grazie alla lettura delle scritture. Non voglio che tu sia un declamatore o un ciarlatano dalle molte parole ma uno che comprende la sacra dottrina e conosce fino in fondo gli insegnamenti del tuo Dio». E, ancora: «è tipico degli ignoranti rigirare le parole e accattivarsi l’ammirazione del popolo in esperto con il parlare velocemente». E aggiunge: «chi è senza pudore spesso spiega ciò che non conosce e pretende di essere un grande esperto solo perché riesce a persuadere gli altri». E, dell’amico Nepoziano, Girolamo scriveva: «con la lettura assidua e la meditazione, aveva fatto del suo cuore una biblioteca di Cristo».
Sta qui tutta la visione di Girolamo, condotta sempre con grande spirito di umiltà e lasciandosi anzitutto guidare da grandi esegeti antichi, Origene in primis, di cui a Costantinopoli aveva tradotto in latino le Omelie. Lo studio non è un diletto fine a sé stesso ma un esercizio di vita spirituale, un mezzo per arrivare a Dio; e così la sua formazione classica viene riordinata al servizio alla comunità ecclesiale.
Ecco come a Betlemme fino all’anno della sua morte, mentre Roma cade nel 410 sotto i Visigoti di Alarico, Girolamo completa la monumentale opera della traduzione in latino di tutto l’Antico Testamento ebraico, oltre ai suoi commentari ai libri profetici ai salmi e alle sacre scritture. Ecco, dunque, la celebre Vulgata ovvero la Bibbia tradotta per il popolo, in modo che tutti i credenti la comprendano. Per uno di quei misteriosi fenomeni di eterogenesi dei fini questa traduzione finì per diventare oscura a quel popolo per il quale era stata pensata, e da cui nella riforma il monaco agostiniano Martin Lutero l’aveva sottratta nella Riforma da lui iniziato. Di fatto, la Chiesa cattolica avrebbe dovuto aspettare il Concilio Vaticano II per riscoprire la ricchezza della traduzione della parola di Dio nelle lingue parlate dal popolo di Dio.
Infatti, è tipicamente cristiana l’esclusione della lingua sacra: la parola di Dio, magari tradotta non sempre in maniera precisa e appropriata, riesce comunque a dare a ciascuno quella straordinaria forza che aveva sottolineato il testo ispirato: «tutta la Scrittura, ispirata da Dio, è anche utile per insegnare, convincere, correggere ed educare nella giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona» (2 Tim 3,16-17).
Per portare a termine questo lavoro Girolamo mise a frutto la sua conoscenza del greco e dell’ebraico nonché la sua solida formazione Latina utilizzando gli strumenti come la Exapla di Origene, sei versioni della Bibbia, disposte parallelamente su sei colonne affiancate.
Scrive ancora papa Francesco che il testo finale della Vulgata coniugava la continuità nelle formule ormai entrate nell’uso comune – l’antica versione latina della Bibbia – con una maggiore aderenza al testo ebraico, senza sacrificare l’eleganza della lingua latina. Così la Sacra Scrittura è diventata una sorta di immenso vocabolario a cui hanno attinto l’arte e la cultura cristiana, insieme alla letteratura e al linguaggio popolare.
Quando il papa Paolo VI nell’immediato post-concilio volle una revisione della Vulgata messa a disposizione di tutta quanta la Chiesa affrontò un’operazione quanto mai azzardata: da qualunque punto di vista la mettiamo non è assolutamente facile correggere Girolamo, anche tenendo conto che non sappiamo a quale testo originale, ebraico o greco, si sia rifatto.
Peraltro, uno dei meriti principali di Girolamo è stato quello di inculturare la Bibbia nella lingua e nella cultura latina (ecco la Neo-Vulgata), operazione che è diventata un paradigma permanente per l’azione missionaria della chiesa. Possiamo così notare, scrive ancora il papa Francesco, che si instaura una sorta di circolarità: come la traduzione di Girolamo è debitrice della lingua e della cultura dei classici latini, così essa è diventata a sua volta elemento creatore di cultura.
L’opera di traduzione di Girolamo ci insegna che i valori le forme positive di ogni cultura rappresentano un arricchimento di tutta la Chiesa, e attesta dello stesso tempo che la Bibbia ha bisogno di essere costantemente tradotta nelle categorie linguistiche e mentali di ogni cultura e generazione, anche e soprattutto nella cultura secolarizzata globale del nostro tempo.
Il papa Francesco, con un colpo d’ala, coglie l’occasione di notare anche l’analogia fra la traduzione in quanto atto di ospitalità linguistica, e altre forme di accoglienza. Per questo l’opera di traduzione non è un lavoro che riguarda unicamente il linguaggio ma corrisponde a una decisione etica più ampia, connessa con l’intera visione della vita.
Senza traduzione le differenti comunità linguistiche non potrebbero comunicare fra loro, noi chiuderemmo gli uni agli altri le porte della storia e negheremmo la possibilità di costruire una cultura dell’incontro.
Senza traduzione non si dà ospitalità e si rafforzano invece le pratiche di ostilità. Il traduttore è quindi un costruttore di ponti che creano continui legami fra le varie culture e i vari ambienti.
Francesco mette quindi in luce due dimensioni caratteristiche della spiritualità di Girolamo: 1. l’assoluta e rigorosa consacrazione a Dio, con la rinuncia a qualsiasi umana soddisfazione; 2. l’impegno di studio assiduo, volto esclusivamente a una sempre più piena comprensione del mistero del Signore.
Questa duplice testimonianza vale per i monaci ma anche per gli studiosi della Parola, che devono ricordare che il loro sapere è valido solo se fondato sull’amore esclusivo per Dio, contemporaneamente alla spoliazione di ogni umana ambizione e di ogni mondana aspirazione.
D’altronde, se la scienza esegetica contemporanea ha scoperto la genialità narrativa e poetica della scrittura, Girolamo – sono ancora parole del Papa –, insiste invece sul carattere umile del rivelarsi di Dio espresso nella natura aspra e quasi primitiva della lingua ebraica, paragonata alla raffinatezza del latino ciceroniano.
Francesco insiste anche sul radicamento emblematico dell’Antico Testamento nel Nuovo Testamento. Senza il primo non può essere compreso pienamente il ruolo del popolo di Dio.
Quindi, l’amore appassionato di Girolamo per le Scritture è intriso di obbedienza nei confronti di Dio, ossia la fede, ma anche l’impegno attivo nella personale ricerca anche nella difficoltà di interpretare la Parola di Dio. Se il libro sacro appare talvolta sigillato e quasi chiuso ermeticamente, occorrerà che intervenga un testimone. È la missione affidata da Francesco agli esegeti: quasi una funzione diaconale, come quella di Filippo narrata nel libro degli Atti: «capisci quello che stai leggendo?». Egli rispose: «E come potrei capire, se nessuno mi guida?» (Atti 8,30-31).
In molte famiglie cristiane nessuno si sente in grado di operare quanto è scritto nel Deuteronomio: «questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore. Li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando ti troverai in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Te li legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio tra gli occhi e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte» (6,6-9). Ossia far conoscere ai figli la parola del Signore con tutta la sua bellezza con tutta la sua forza spirituale ecco perché il Papa istituisce la domenica della parola di Dio, la terza del Tempo ordinario.
Il Papa mette anzitutto in rilievo i centri di eccellenza della ricerca biblica come il Pontificio Istituto Biblico di Roma e i due grandi istituti di Gerusalemme (lo Studium Biblicum dei francescani e l’École Biblique dei domenicani), ma aggiunge anche che «ogni facoltà di teologia deve impegnarsi affinché l’insegnamento della sacra scrittura sia programmato in modo da assicurare agli studenti una competente capacità interpretativa sia nell’esegesi dei testi sia nelle sintesi di teologia biblica».
In conclusione, il centenario della morte di Girolamo conduce il nostro sguardo alla vitalità missionaria, che è espressa dalla traduzione della parola di Dio in più di tremila lingue: un lavoro che contribuisce a superare le frontiere dell’incomunicabilità e contemporaneamente mette in luce il legame tra Girolamo e la cattedra di Pietro.
Così scriveva lo stesso Girolamo: «io che non seguo nessuno, se non il Cristo, mi associo in comunione alla cattedra di Pietro so che su quella roccia è edificata la Chiesa». Girolamo, del resto, assimilò un’intera biblioteca di scritti e divenne dispensatore di sapere per molti altri: per lui lo studio non rimase confinato agli anni giovanili della formazione, ma fu costante nella vita intera. Un insegnamento, ancora una volta, da riscoprire in questi tempi di superficialità e di spiritualità non proprio sane.
Così al papa Francesco viene naturale interrogarsi sull’esperienza che un giovane oggi può fare entrando in una libreria della sua città (o in un sito internet), se va alla ricerca del settore dei libri “religiosi”, che forse quando esiste è marginale, più facilmente è sguarnito di opere sostanziose. In questo modo, difficilmente un giovane potrebbe comprendere come la ricerca religiosa possa essere un’avventura appassionante che unisce pensiero e cuore.
All’opposto, uno dei problemi odierni, non solo della religione, è l’analfabetismo di ogni tipo: scarseggiano le competenze ermeneutiche che ci rendono interpreti e traduttori credibili della nostra tradizione culturale. E Francesco lancia una sfida soprattutto ai giovani: «partite alla ricerca della vostra eredità. Se il cristianesimo vi rende eredi di un inseparabile patrimonio culturale appassionatevi di questa storia che è la vostra. Usate fissare lo sguardo sull’inquieto giovane Girolamo che come il personaggio della parabola vendette tutto quello che possedeva per acquistare la perla di grande valore» (cf. Matteo 13,46).
Girolamo, «biblioteca di Cristo» che continua a parlare ancora oggi. ci ispiri a ripetere come faceva egli stesso: «leggi spesso le divine Scritture, anzi le tue mani non depongano mai il libro sacro».
Tutto questo spirito – conclude il papa Francesco – si ritrova nella Madre di Dio, colei che meditava la parola nel suo cuore e la custodiva senza stancarsi, colei che meglio di ogni altro può insegnarci come leggere meditare pregare e contemplare Dio che si fa presente nella nostra vita.