di Alessandro Clemenzia • Siamo ormai lontani dal pensare la sinodalità della Chiesa come un’utopia teologica o un programma pastorale da adempiere per ottenere il prima possibile delle efficaci trasformazioni infrastrutturali ecclesiali. La Chiesa, infatti, si scopre sinodale nell’essere costantemente orientata, talvolta anche con fatica, verso un camminare insieme “pneumatoforo”, capace cioè di accogliere, portare e ridonare quello Spirito che ha ricevuto e costantemente riceve dalla presenza del Risorto. Si potrebbe affermare che la Chiesa è sinodale nell’evento stesso del suo sinodalizzarsi: è in questo processo dinamico che essa può prendere una sempre più chiara consapevolezza della sua natura e della sua missione.
Questo è l’insegnamento che Papa Francesco continua incessantemente a offrire, riuscendo a provocare, da un lato, quanti tendono a rimanere staticamente ancorati a un passato ormai inesistente, dall’altro, coloro che riducono in modo più o meno esplicito questo cammino pneumatoforo a una conquista di natura sociologica. Egli lo ha ribadito anche di recente, nel saluto inaugurale durante i lavori dell’assemblea speciale del Sinodo dell’Amazzonia (7 ottobre 2019 nell’Aula del Sinodo), sul tema “nuovi cammini per la Chiesa e per una ecologia integrale”. In quell’occasione il Papa è riuscito ad allargare gli orizzonti rispetto a una situazione che si era venuta a creare a causa di chi si riteneva capace di rispondere alle grandi sfide dell’Amazzonia a prescindere dallo svolgimento del cammino sinodale; è stato proprio il Papa a ricordare, all’inizio dei lavori, le quattro dimensioni che devono caratterizzare il presente sinodo: pastorale, culturale, sociale ed ecologica. Nel suo discorso, egli si è soffermato in particolare sulla prima, la dimensione pastorale, perché in qualche modo è la sintesi di tutte, e ha offerto alcuni suggerimenti preziosi per quanto riguarda il metodo. Anzitutto ha spiegato con quale “occhio prospettico” debba essere osservata la realtà dell’Amazzonia: non si tratta di applicare a un preciso contesto principi o postulati generali di natura filosofica o religiosa, in quanto il punto di partenza della riflessione è sempre la realtà, colta con “occhi di discepoli” e “occhi di missionari”.
È questo lo sguardo ermeneutico che deve essere assunto per affrontare le grandi questioni, proprio perché «non esistono ermeneutiche neutre, ermeneutiche asettiche; esse sono sempre condizionate da un’opzione previa». Avere occhi di discepolo e di missionario significa avvicinarsi all’altro senza avere la pretesa di addomesticarlo attraverso un centralismo esistenziale “omogeneizzante e omogeneizzatore”. Ciò ha delle profonde implicazioni anche riguardo al modo in cui ciascuno è chiamato a partecipare a un Sinodo, in quanto si deve porre una costante attenzione a non cadere in quelle ideologie che «portano all’esagerazione nella nostra pretesa di comprendere anche intellettualmente, ma senza accettare, comprendere senza ammirare, comprendere senza assimilare».
La sinodalità, ribadisce il Papa, non è un sistema di maggioranza parlamentare, da cui scaturirebbe “una Chiesa congregazionalista”, ma ha a che fare con il “contemplare”, il “comprendere” e il “servire”. Non solo, essa è particolarmente legata alla presenza e all’azione dello Spirito Santo: «Sinodo è camminare insieme sotto l’ispirazione e la guida dello Spirito Santo», Colui che di molti fa uno e fa sì che ciascuno possa esprimere in sé il tutto senza per questo perdere la propria identità. Non esiste, dunque, alcuna minoranza perdente, poiché quest’ultima deve essere assunta e sentirsi realmente espressa dalla maggioranza. Questa logica è ben lontana da ogni tentativo di “democratizzazione” della Chiesa.
È lo Spirito Santo, secondo Francesco, il vero attore principale dell’evento sinodale, tanto che – sottolinea il Papa in modo molto significativo – l’Instrumentum Laboris, che è il frutto di un attento e rigoroso lavoro previo al Sinodo ad opera di numerosi esperti, non è il testo su cui si vuole far convergere il maggior numero di consensi, ma è «un testo martire, destinato ad essere distrutto, perché è il punto di partenza per quello che lo Spirito farà in noi». Compito del Sinodo, dunque, è quello di lasciare che lo Spirito possa esprimere se stesso liberamente.
Un ultimo aspetto toccato dal Papa in questo discorso di apertura è che la grandezza di un Sinodo, proprio in quanto si tratta di un “evento”, deve essere colta nella sua tensione dinamica e processuale: «Stare nel Sinodo significa incoraggiarsi ad entrare in un processo», e non un semplice occupare spazi. Da queste parole scaturisce implicitamente un invito rivolto a tutti i cristiani, e in particolare ai teologi, a evitare di perdersi in toni polemici per raggiungere obiettivi ipotetici, e a godere maggiormente di ciò che avviene lungo la strada, in particolare il sinodalizzarsi della Chiesa.