Dinamismo tra Chiesa particolare e Chiesa universale nel rescritto del 2016 sull’obbligo della consultazione per erigere un istituto di vita consacrata diocesano
di Francesco Romano • Nell’udienza del 4 aprile 2016 concessa al Segretario di Stato Vaticano, il Santo Padre Francesco stabiliva in forma di rescritto che la previa consultazione prevista dal can. 579 CIC per la erezione a livello diocesano di nuovi istituti di vita consacrata fosse da intendersi necessaria ad validitatem, pena la nullità del decreto vescovile.
Il can. 579 aveva trovato in dottrina giuridica diversità di interpretazioni sulla validità della erezione da parte del Vescovo diocesano in assenza della consultazione della Sede Apostolica che veniva richiesta con la formula “purché [dummodo] sia consultata la Sede Apostolica”.
Una certa linea d’interpretazione riconosceva la validità di una erezione canonica anche in caso di omissione di consultazione della Sede Apostolica adducendo l’assenza di una espressa clausola irritante come prevede il can. 10. D’altra parte la particella “dummodo”, “purchè”, secondo il can. 39 produrrebbe effetti invalidanti in quanto clausola aggiuntiva a un atto amministrativo (decreto, precetto, rescritto), mentre il can. 579 è una legge e non un atto amministrativo. Inoltre, il consiglio o il consenso richiesti dal can. 127 §2 riguardano alcune persone prese non come gruppo, ma nella loro individualità, mentre secondo il can. 579 il superiore da consultare è la Santa Sede.
Per un’altra scuola di pensiero ciò che rendeva invalida l’erezione canonica del Vescovo diocesano era soltanto l’omissione della consultazione della Santa Sede e non il disattendere l’esito negativo della consultazione che potrebbe essere comunicato esplicitamente oppure come tacito dissenso procrastinando la risposta nella forma del silenzio amministrativo (can. 57).
L’intervento del Papa Francesco, in quanto legislatore, con il rescritto del 2016 risolve il dubbio intorno agli effetti giuridici della previa consultazione già prevista dal can. 579. La deroga che egli vi apporta con l’espressa introduzione della clausola irritante “ad validitatem” è la dimostrazione che effettivamente il dubbio oscillava e che vi era la necessità di un intervento chiarificatore definitivo secondo la ratio della norma.
La formula irritante “ad validitatem” viene a rafforzare il significato semplicemente limitativo già dato dalla particella “dummodo” presente nel can. 579, ma privo di quella forza invalidante che il can. 39 attribuisce espressamente solo a un atto amministrativo, mentre il can. 579 è una legge.
Il rescritto pontificio del 2016 conferma la necessità dell’intervento della Santa Sede in termini di consultazione previa per la valida erezione di un nuovo istituto diocesano, ma l’atto erettivo resta di natura episcopale. Il valore giuridico della previa consultazione riguarda l’effetto irritante nel caso in cui venisse omessa come parere da richiedere, ma da non confondersi con il consenso. Per questo, la mancata osservanza dell’esito della consultazione non inficerebbe la validità del decreto di erezione del nuovo istituto.
Oltre a una esigenza di carattere pratico, il senso di questa norma che vede coinvolti il Vescovo diocesano e la Santa Sede risiede nel carattere teologico ed ecclesiale che vi sottostà, ben sintetizzato dal can. 575: “I consigli evangelici, fondati sull’insegnamento e gli esempi di Cristo Maestro, sono un dono divino che la Chiesa ha ricevuto dal Signore e con la sua grazia sempre conserva”.
Il vero senso di una consultazione richiesta espressamente “ad validitatem” dal rescritto pontificio trova la sua giustificazione nel principio di comunione che deve sempre risplendere prima di tutto nel rapporto tra Chiese particolari e Chiesa universale. La vita consacrata è un dono fatto da Dio alla Chiesa universale, anche se materialmente un Istituto trae origine a livello diocesano e da esso tende ad espandersi con la sua presenza nelle varie diocesi del mondo. La consultazione della Santa Sede offre alla Chiesa particolare il giudizio della Chiesa universale sull’unico dono ricevuto da condividere, accompagnandolo fin dal suo germoglio.
Il senso di questo rescritto pontificio del 2016 va oltre l’aspetto strettamente giuridico sulla eventuale non validità o non liceità del decreto episcopale, sull’osservanza o meno del can. 579 e sull’esercizio del controllo della Suprema Autorità. La ratio della norma, bene illustrata da Lumen gentium 44, va inquadrata nella natura ecclesiale della vita consacrata che “appartiene fermamente alla sua vita e alla sua santità” e soprattutto che i consigli evangelici “congiungono in modo speciale i loro seguaci alla Chiesa e al suo mistero, la loro vita spirituale deve essere pure consacrata al bene di tutta la Chiesa”. La vita consacrata appartiene alla Chiesa universale e benché ogni istituto di vita consacrata esplica la sua dimensione ecclesiale in una Chiesa particolare che si riconosce nel suo Pastore, la vita consacrata è per l’edificazione della Chiesa e la salvezza del mondo (can. 573 §1), è congiunta in modo speciale al suo mistero (can. 573 §2), appartiene alla sua vita e santità (can. 574 §1), è un dono peculiare nella vita della Chiesa (can. 574 §2), è un dono che riceve dal Signore e con la sua grazia sempre conserva (can. 575).
L’interpretazione dell’autenticità di un carisma appartiene al munus episcopale, ma in questo dinamismo tra Chiesa particolare in cui si radica il dono e Chiesa universale in cui il dono cresce e si diffonde è tutta la Chiesa destinataria del medesimo dono per la sua edificazione e la salvezza del mondo.
La ratio del can. 579 con la deroga apportata dal rescritto pontificio del 2016 vuole significare che il discernimento del Vescovo si perfeziona quando è congiunto alla consultazione della Santa Sede nel divenire espressione di comunione ecclesiale.