di Stefano Tarocchi • «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni» (Lc 24,44-48).
Con il racconto nel Vangelo di Luca dell’incontro del Signore risorto con i discepoli, che lo attendono nel luogo dove già ha trascorso con loro la cena avanti la sua passione il Papa Francesco apre la lettera apostolica Aperuit illis – lett. «Aprì loro….» – nella quale istituisce la domenica della parola di Dio. Così scrive il papa: la «III Domenica del Tempo Ordinario [nel 2020 sarà il 26 gennaio] sia dedicata alla celebrazione, riflessione e divulgazione della Parola di Dio».
Se il percorso del papa muove dalla Costituzione dogmatica conciliare sulla divina rivelazione (Dei Verbum) e passa attraverso insegnamento dell’esortazione di Papa Benedetto dopo il sinodo sulla Parola di Dio (Verbum Domini), lascia trasparire un percorso mai compiuto del tutto, all’interno della Chiesa cattolica.
Si tratta di un percorso che non si è mai perso nella grande Chiesa, a cominciare da quando san Girolamo, dopo la morte di papa Damaso I, si trasferì in Terra santa, a Betlemme, dove morì il 30 settembre 420, per completare la traduzione delle Scritture nella lingua parlata dal popolo: la Vulgata latina, appunto. Per una di quelle eterogenesi delle vicende umane la lingua è divenuta poi estranea al popolo di Dio. C’è voluto un percorso durato secoli prima che il Vaticano II si dedicasse raccomandare le traduzioni nelle lingue parlate comunemente: «è necessario che i fedeli abbiano largo accesso alla sacra Scrittura. Per questo motivo, la Chiesa fin dagli inizi fece sua l’antichissima traduzione greca dell’Antico Testamento detta dei Settanta, e ha sempre in onore le altre versioni orientali e le versioni latine, particolarmente quella che è detta Volgata. Poiché, però, la parola di Dio deve essere a disposizione di tutti in ogni tempo, la Chiesa cura con materna sollecitudine che si facciano traduzioni appropriate e corrette nelle varie lingue, di preferenza a partire dai testi originali dei sacri libri (Dei Verbum 22).
S. Efrem il Siro († 373), citato da Papa Francesco, così scriveva: «chi è capace di comprendere, Signore, tutta la ricchezza di una sola delle tue parole? È molto di più ciò che sfugge di quanto riusciamo a comprendere. Siamo proprio come gli assetati che bevono a una fonte. La tua parola offre molti aspetti diversi, come numerose sono le prospettive di quanti la studiano. Il Signore ha colorato la sua parola di bellezze svariate, perché coloro che la scrutano possano contemplare ciò che preferiscono. Ha nascosto nella sua parola tutti i tesori, perché ciascuno di noi trovi una ricchezza in ciò che contempla» (Commenti sul Diatessaron, 1, 18).
Se la fede, scrive Paolo ai Romani, «viene dall’ascolto e l’ascolto riguarda la parola di Cristo» (Rom 10,17), il papa pone in rilievo la celebrazione eucaristica, con la duplice mensa del pane e della parola: «la Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il Corpo stesso di Cristo, non mancando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane di vita dalla mensa sia della Parola di Dio che del Corpo di Cristo, e di porgerlo ai fedeli» (DV 21).
A tale proposito papa Francesco aggiunge: «l’omelia… riveste una funzione del tutto peculiare, perché possiede «un carattere quasi sacramentale» (EG142)… Per molti dei nostri fedeli, infatti, questa è l’unica occasione che possiedono per cogliere la bellezza della Parola di Dio e vederla riferita alla loro vita quotidiana. È necessario, quindi, che si dedichi il tempo opportuno per la preparazione dell’omelia. Non si può improvvisare il commento alle letture sacre. A noi predicatori è richiesto, piuttosto, l’impegno a non dilungarci oltre misura con omelie saccenti o argomenti estranei» (AI 5).
Se è vero, come troviamo nelle “lettere pastorali” della tradizione paolina, che «tutta la Sacra Scrittura, ispirata da Dio, è anche utile per insegnare, convincere, correggere ed educare» (2 Tm 3,16), è il Cristo la parola definitiva data agli uomini.
È del resto così che si esprime la lettera agli Ebrei: «Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo» (Eb 1,1-2).
Infatti, così scrive san Girolamo: «se al dire dell’apostolo Paolo, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio, colui che non conosce le Scritture, non conosce la potenza di Dio, né la sua sapienza. Ignorare le Scritture significa ignorare Cristo» (Commento ad Isaia, Prologo).
È così che la prima generazione cristiana ha inteso le parole di Gesù, a cominciare dalle parole con cui nel vangelo di Marco di narra l’esordio del suo ministero: «il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo» (Mc 1,15).
E il papa ancora aggiunge, citando sant’Agostino a proposito della Madre di Dio: «qualcuno in mezzo alla folla, particolarmente preso dall’entusiasmo, esclamò: “Beato il seno che ti ha portato (cf. Lc 11,27)”. E lui: “Beati piuttosto quelli che ascoltano la parola di Dio, e la custodiscono”. Come dire: anche mia madre, che tu chiami beata, è beata appunto perché custodisce la parola di Dio, non perché in lei il Verbo si è fatto carne e abitò fra noi, ma perché custodisce il Verbo stesso di Dio per mezzo del quale è stata fatta, e che in lei si è fatto carne» (Sul Vangelo di Giovanni, 10, 3).
È la stessa dimensione comunionale che si percepisce nell’Apocalisse: «ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3,20).
Così infatti scrive lo stesso libro: «beato chi legge e beati coloro che ascoltano le parole di questa profezia e custodiscono le cose che vi sono scritte: il tempo infatti è vicino… se qualcuno toglierà qualcosa dalle parole di questo libro profetico, Dio lo priverà dell’albero della vita e della città santa, descritti in questo libro (Ap 1,3; 22,19).
«Il giorno dedicato alla Bibbia – è ancora Francesco che parla – vuole essere non “una volta all’anno”, ma una volta per tutto l’anno, perché abbiamo urgente necessità di diventare familiari e intimi della Sacra Scrittura e del Risorto, che non cessa di spezzare la Parola e il Pane nella comunità dei credenti» (AI 8).
Così infatti scrive lo stesso libro: «beato chi legge e beati coloro che ascoltano le parole di questa profezia e custodiscono le cose che vi sono scritte: il tempo infatti è vicino… se qualcuno toglierà qualcosa dalle parole di questo libro profetico, Dio lo priverà dell’albero della vita e della città santa, descritti in questo libro (Ap 1,3; 22,19).
«Il giorno dedicato alla Bibbia – è ancora Francesco che parla – vuole essere non “una volta all’anno”, ma una volta per tutto l’anno, perché abbiamo urgente necessità di diventare familiari e intimi della Sacra Scrittura e del Risorto, che non cessa di spezzare la Parola e il Pane nella comunità dei credenti» (AI 8).