Alcune riflessioni morali sul «vizio» del fumo
di Gianni Cioli • Tempo fa un lettore di Toscana oggi mi poneva la seguente questione: «Da tanti anni ormai ho il vizio del fumo e non riesco a smettere, forse per mancanza di convinzione. Ultimamente qualcuno mi ha detto che secondo lui fumare è peccato, perché danneggia il nostro corpo e comporta il rischio di gravi malattie. Eppure il mio vecchio parroco fumava. Come stanno le cose?»
La mancata attenzione al fumo come problema morale da parte della teologia manualistica post-tridentina è forse in buona parte dovuta al fatto che nei secoli in cui l’abitudine di fumare si è diffusa non si aveva ancora la consapevolezza che il fumo potesse fare particolarmente male. Addirittura talora si pensava che potesse fare bene: ad esempio, se ben ricordo, mio nonno raccontava che da soldato veniva invitato a fumare come misura profilattica contro possibili infezioni alle vie respiratorie.
Su queste basi testi di etica medica (P. Chaurchard, Farmaci, psicofarmaci e morale) e manuali di bioetica recenti (L. Ciccone, Bioetica. Storia, principi, questioni) hanno posto in evidenza che l’abuso di tabacco può costituire una grave scorrettezza morale.
Per tornare al puntuale quesito del lettore, piuttosto che sul piano del peccato preferirei affrontare la questione sul piano del dovere morale, anche in linea col rinnovamento della teologia morale degli ultimi cinquant’anni che ha spostato l’accento dalla preoccupazione di stabilire il confine fra lecito e illecito alla riflessione circa gli atteggiamenti che possano incarnare al meglio la carità (cf. Optatam totius 16). Il peccato implica, oltre tutto, un coinvolgimento della persona che appare problematico collegare a priori a un determinato atto materiale.
Non è dunque il caso di ritenere che chi fuma commetta di per sé e sempre un peccato, tuttavia, se è vero che il fumo può nuocere gravemente alla salute, credo che anche il semplice buon senso ma soprattutto il senso della carità ci pongano di fronte a una serie di doveri non trascurabili.
Il primo è quello di non danneggiare la salute altrui e, quindi, di evitare di fumare innanzi tutto nei luoghi dove è proibito per legge, cioè negli ambienti pubblici, ma anche nei luoghi privati frequentati da persone e soprattutto dove possono esserci bambini.
In conclusione non nego che in determinate circostanze la scelta di fumare possa configurarsi anche come peccato, ma non credo che si debba generalizzare, rischiando di ingenerare sensi di colpa e di favorire nevrosi proprio in chi ha già abbastanza problemi. Mi pare invece che si possa ragionevolmente e serenamente prospettare, in maniera articolata, un dovere sintetizzabile in una battuta: è bene fumare meno, smettere del tutto è meglio, non cominciare affatto è meglio ancora.