San Francesco in poesie e disegni

200 300 Giovanni Campanella
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San Francesco d'Assisidi Giovanni Campanella Nel mese di settembre 2018, la casa editrice Edizioni Messaggero Padova ha pubblicato un libro suggestivo, intitolato Un Uomo – 4 ottobre 1226. Il libro percorre a grandi passi gli eventi più significativi della vita di Francesco d’Assisi attraverso poesie e disegni. L’autore/disegnatore è Stefano Nava. Nato a Bergamo nel 1977, è laureato in Architettura.

«Con il maestro Cesare Ravasio inizia a dipingere inaugurando le prime esposizioni. Nel 2010 si trasferisce a Reggio Emilia e si avvicina al mondo dell’illustrazione. Ha collaborato con diverse case editrici tra cui San Paolo, Elledici, Velar, Edizioni Messaggero Padova, Romena, Ed. Fundamento (BR). Ha partecipato a diversi concorsi nazionali e internazionali tra cui la Rassegna internazionale “I colori del Sacro” (Museo diocesano di Padova). Le sue opere sono presenti in diversi spazi sacri: Chiesa di Palazzago (BG), Chiesa di San Maurizio (RE), Fraternità di Romena (AR). Vive a Marmirolo, nella campagna limitrofa a Reggio Emilia, con la moglie Caterina e i figli Francesco e Filippo. Insieme provano a tenere aperta la porta di casa e lo spazio della vecchia stalla per ascoltare le voci dei testimoni del nostro tempo e favorire momenti d’incontro» (copertina)».

La prefazione è di don Luigi Verdi, fondatore e responsabile della Fraternità di Romena, in Casentino, Toscana.

Dopo la prefazione e un prologo, Nava ci consegna 16 scene, ognuna associata a una poesia e a un disegno: “Io non lo so – Nascita”, “Ma ora – Carcere Perugia”, “Sogno piccolo – Spoleto”, “Abbraccio – Conversione”, “Lasciarti essere – Crocefisso di San Damiano”, “La mia ciotola – Restituzione”, “Preferisco qui – Spogliazione”, “Desiderio traboccante – Povertà”, “Parola ferma – Chiara”, “Architettura spoglia – Perfetta letizia”, “Partorire eleganza – Predica agli uccelli”, “Indivisibili – Chi sei? Chi sono?”, “Approdo – Preghiera”, “Due cose so – Stimmate”, “Immobile – Cantico delle Creature”, “Un uomo – Morte”.

A onor del vero, non sono un grande intenditore di poesie e confesso di imbattermi raramente in testi poetici. Ma non esito ad affermare che sono tutte suggestive ed alcune mi sono sembrate davvero molto belle.

Affascinante è il gioco sulla parola “conversione” nella poesia “Abbraccio”. Per la prima volta, di fronte al lebbroso, Francesco non si converte nel senso di “cambiare direzione” ma si converte nel senso di “volgersi con”, continuare a camminare con qualcuno accanto.

Molto bella e densa è anche “La mia ciotola” che meriterebbe di essere citata per intero, se lo spazio non fosse tiranno. Qui riferimenti scritturistici danzano insieme al dialogo tra infinito e finito. L’infinito si fa finito nella ciotola del Santo.

Dai testi traspare una conoscenza tutt’altro che superficiale delle vicende di Francesco d’Assisi. Così, nella poesia “Sogno piccolo”, tra la cavalcata con Gualtiero di Brienne verso la Puglia e il ritorno da Spoleto ad Assisi, campeggia la celebre domanda: «È meglio seguire il servo o il Signore?». “Approdo” fa riferimento a particolari modi di pregare di Francesco («quando si è approdati nella terra con le ginocchia e le mani, / si prende il mantello o il cappuccio e si fa casa sopra di sé»). “Immobile” ricorda l’ultimo periodo di grave malattia e la composizione contestuale del Cantico delle Creature (contestualità che è uno dei paradossi della vita di Francesco). In “Un uomo” compare Donna Jacopa dé Settesoli che porta a Francesco moribondo i suoi amati biscotti (mostaccioli?) (in uno scritto autentico, il Santo li richiede espressamente).

Mi piace concludere l’articolo, con una piccola tonalità personale, accennando a una velata inclusione che fa Nava servendosi dei nomi Giovanni e, all’inizio più implicitamente, Francesco. Riporto due passaggi della prima poesia:

«(…)

Dicono che all’inizio mi chiamassi Giovanni, come l’uomo che battezzava nel fiume Giordano;
poi mio padre volle che mi chiamassi così, come sapete,
perché gli ricordava le origini francesi di mia madre.

(…)

Lo stesso vento che soffiava sul Giordano nei giorni in cui Giovanni battezzava.
Quello di cui “ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va”.
Il vento che accarezza il corpo di mia madre.

(…)»

Riporto ora l’inizio e la fine dell’ultima poesia:

«3 ottobre 1226.
Il vento della sera è respiro sottile.
Lo stesso vento di Giovanni nel Giordano, di mia madre nella bottega di tessuti.
Il tempo pare sospeso. Profuma di te.

(…)

4 ottobre 1226: è nato l’uomo.
Tu vento leggero, io passero agonizzante.<
Tu profumo di mandorlo, io odore di polvere.
Tu terra accogliente, io corpo nudo.
Tu promessa d’aurora, io notte.
Tu abbraccio calmo, io finalmente… Francesco».

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Giovanni Campanella

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