San Carlo, Trento e la formazione presbiterale
di Francesco Vermigli • Il 4 del mese di novembre diverse ricorrenze convergono: cadono in questo giorno l’anniversario dell’alluvione di Firenze del 1966 e quello della fine della prima guerra mondiale (anniversario che in questo nostro 2018 diventa ricorrenza centenaria). La Chiesa in questo giorno ricorda invece nel proprio calendario liturgico una delle figure più emblematiche di un’intera epoca: un nobile, un principe della Chiesa, un pastore. Perché parlare di Carlo della nobile famiglia dei Borromeo significa in qualche modo – anche solo indirettamente e per transennam – parlare di un’epoca cruciale come nessuna altra nella storia della Chiesa moderna.
La solerzia di Carlo per la formazione dei futuri preti può apparire del tutto consona all’epoca che egli visse. In fondo, da Trento egli prese innanzitutto il senso di quanto fosse necessario che il clero vivesse una nuova primavera e si ristabilisse una presenza capillare del presbiterio nel territorio diocesano. In una memorabile voce dedicata a Carlo entro il Dizionario Biografico degli Italiani, il De Certeau notava che nella scelta in favore del Seminario il Borromeo aveva lo scopo di assicurarsi, in “spazi esistenziali” controllabili e ben definiti, l’avvenire e non solo il presente delle indicazioni conciliari.
Al netto di tutto questo, non pare ancora che vi siano elementi sufficienti per poter affermare l’inutilità dell’istituzione seminariale per la Chiesa. La storia infatti può bensì sollecitare che venga modificata la forma di un’istituzione – ecclesiale o meno che sia – senza per questo che giunga fino a istigarne l’abolizione.