Ogni stato e condizione di vita è una specifica via per attuare l’unica chiamata a quella perfezione di santità di cui è perfetto il Padre celeste (LG 11)
di Francesco Romano • Il Magistero conciliare ha focalizzato l’attenzione sulla vocazione dell’uomo alla santità perché la sua vocazione suprema è la chiamata all’unione con Dio tramite il Signore Gesù (GS 19). L’umanità di Cristo è santa perché è unita alla persona del Verbo divino e gli uomini sono santi perché mediante la Chiesa sono uniti a Cristo dallo Spirito Santo e vivono ontologicamente la sua vita.
La Costituzione dogmantica Lumen gentium dedica il quinto capitolo alla vocazione universale alla santità. La riscoperta della Chiesa come mistero, cioè come popolo adunato dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo (LG 4) ci introduce alla scoperta della sua santità come appartenenza a Colui che è il Santo per eccellenza.
Anche il Codice di Diritto Canonico, quale documento fondamentale del Magistero pontificio presenta progressivamente l’uguaglianza nella dignità e nell’azione di tutti i fedeli che cooperano all’edificazione del Corpo di Cristo (can. 208), l’obbligo di conservare la comunione con la Chiesa (can. 209), il dovere di ogni fedele di tendere con ogni sforzo alla santità che affonda le sue radici nel battesimo con il sostegno della grazia divina (can. 210).
Per tutti i fedeli sarà il proprio stato di vita il criterio da seguire per raggiungere e vivere la santità (can. 210). La Lumen gentium afferma che “tutti i fedeli di ogni stato e condizione sono chiamati dal Signore, ognuno per la propria via, a quella perfezione di santità come perfetto è il Padre celeste” (LG 11). Il termine status viene usato in senso lato soprattutto riferito ai fedeli in genere, ma nel Codex 1983 lo troviamo prevalentemente associato ai chierici, mentre in riferimento ai consacrati lo troviamo ai cann. 207 §2 e 574. In definitiva ognuno è chiamato a tendere alla perfezione secondo il proprio stato fermo restando che la santità è una sola e non differisce tra uno stato e l’altro se non per le modalità della sua realizzazione perché una soltanto è l’unione della vita con il Signore. Tutti sono membri dell’unico suo Corpo che è la Chiesa, ma ognuno vive e attua la chiamata alla santità secondo i doni propri e gli uffici propri di ciascuno (LG 41).
Dio è il fondamento delle diverse forme con cui ogni fedele vive l’unica santità distribuendo le sue grazie e i suoi doni. Questo è il primo aspetto della vocazione che evidenzia l’assoluta libertà di Dio nel rivolgere la sua chiamata alle creature. La partecipazione del fedele alla vita di Dio sgorga dalla sua volontà di rivelarsi e donarsi per grazia.
Nella partecipazione al Corpo mistico il fedele trova l’ulteriore fondamento della sua risposta alla santità per l’azione dello Spirto Santo che unisce gli uomini a Cristo dando a ciascuno il posto per la sua edificazione in singole membra con doni personali.
Lo Spirito Santo, per rendere la Chiesa capace di svolgere la sua missione di salvezza, l’arricchisce con diversi carismi e ministeri che sono le vocazioni particolari di ogni singolo membro.
Ogni stato e condizione di vita è una specifica via per rispondere e attuare la chiamata alla santità (LG 11). La vita consacrata è una tra le modalità nella struttura della Chiesa per rispondere con la sua specificità alla chiamata alla santità attraverso la sequela di Cristo. Anche all’interno della vita consacrata si scorgono diverse modalità che si esplicitano nei numerosi carismi che hanno dato origine a una molteplicità di istituti religiosi.
Ogni fedele, chiamato a tendere alla perfezione nella carità e a essere testimone della risurrezione, entra nella vita della Chiesa con la sua vocazione originaria per contribuire attivamente alla sua edificazione per la salvezza del mondo.
La vita consacrata si colloca all’interno del Popolo di Dio con la sua istituzionalizzazione giuridica che da concretezza ai diversi carismi di un gran numero di istituti di vita consacrata diventando segno della stessa vita terrena vissuta dal Signore. Con i doni diversi che hanno ricevuto, i consacrati “seguono più da vicino Cristo sia che preghi, sia che annunzi il Regno di Dio, o benefichi gli uomini, o ne condivida la vita nel mondo, ma che sempre compie la volontà del Padre” (can. 577).
Il fedele con la consacrazione attraverso la professione dei consigli evangelici si obbliga a viverli e acquista “un nuovo speciale titolo”, perfettivo di quello del battesimo, con cui si dedica alla glorificazione di Dio, alla edificazione della Chiesa e alla salvezza del mondo (can. 573 §1).
I consigli evangelici hanno una radice cristologica perché il Signore li insegnò e li visse personalmente, sono un dono che la Chiesa ha ricevuto e conserva (can. 575). Essi sono fonte di santificazione personale e dell’intera Chiesa. La Lumen gentium 42 li presenta nel contesto della chiamata universale alla santità come un dono che tutti i fedeli sono chiamati a praticare nella propria condizione di vita insieme ai consacrati chiamati a professarli.
La vita religiosa, tolta dalla categoria preconciliare di stato di perfezione, va vista come la forma consacrata di vivere i consigli evangelici senza escludere che anche a tutti i fedeli vengano proposti come un dono da vivere in forza della consacrazione battesimale in quanto “fondati sulla dottrina e sugli esempi di Cristo Maestro” (can. 575).