I sacerdoti francesi del Prado già nel 1800 anticipano, come don Facibeni nel 1900, la pastorale di Papa Francesco verso i poveri e gli scarti di una umanità vulnerabile
di Carlo Parenti • Grazie ad un recente lungo colloquio con don Corso Guicciardini [Don Corso Guicciardini, Passare dalla cruna dell’ago. Un colloquio su storia e futuro dell’Opera Madonnina del Grappa, Prefazioni di Gualtiero Bassetti e Giuseppe Betori, Gabrielli Editori, 2018] ho “scoperto” un Istituto religioso che già nel 1880 anticipò la pastorale di Papa Francesco verso i poveri e gli scarti di una umanità vulnerabile.
E’ poco noto l’interesse di don Giulio Facibeni per il Prado. Don Corso Guicciardini ricorda: “Il Padre si preoccupava che l’opera Madonnina del Grappa fosse una comunità religiosa. Sia di sacerdoti – presbiteriale –, sia di donne – suore –, ma anche di laici consacrati – uomini e donne. Nella sua ricerca di un istituto religioso che avesse questi tre rami, non due – suore e preti –, ma anche laici, scrisse a Lione alla sede del Prado e questi gli mandarono tre libretti di Alfred Ancel, famoso per esser diventato vescovo-operaio”. La sua abitazione era all’estrema periferia di Lione, contigua ad altre altrettanto misere, dove vivevano soprattutto gli immigrati algerini in situazione di grande povertà. Tutti condividevano una sola latrina nel cortile comune. Ogni mattina il Vescovo prendeva un secchio e una scopa e vi andava a far pulizia. Ancel contribuirà al Concilio con suo costante riferimento alla Chiesa povera per evangelizzare i poveri. Fin dall’inizio, con altri vescovi, partecipò agli incontri animati dal card. Lercaro che indicavano nella Chiesa povera, non tanto un’opzione preferenziale per i poveri, ma un modo di vivere la fraternità umana. Gli interventi di Ancel al Concilio furono in tutto 22, di cui 13 orali. Il suo lavoro si concentrò sul famoso schema 13 della “Gaudium et spes”. Ancel fu nominato vicepresidente della commissione della “Gaudium et spes”, risultandone l’effettivo presidente a causa della malattia di mons. Guano.
Da sottolineare che don Corso –successore di Facibeni- fu nominato Assistente Spirituale dei seminaristi del Prado su indicazione fatta da Padre Bortolon a Mons. Ansel che approvò la nomina.
Uno spirito, quello del Prado, condiviso dunque da don Facibeni, che con il padre Chevrier ripete: “Conoscere Gesù Cristo è tutto, il resto è niente!». Era il suo desiderio, il suo proposito poter dire con l’apostolo Paolo: «Noi non annunciamo noi stessi, ma Cristo, Gesù, Signore. Siamo vostri servitori anche se abbiamo questi tesori in vasi di creta, perché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio e non viene da noi”» (2 Cor 4 e 7).
Vi sono indubbie similitudini o assonanze -nella pastorale di questi due sacerdoti- con le parole di papa Francesco, che parla degli ultimi, degli scarti, della Chiesa che deve andare nelle periferie dell’umanità ed essere un ospedale da campo.
Padre Chevrier e don Giulio Facibeni: uomini che per tutta la vita hanno inseguito l’annientamento del proprio io nella carità e nella misericordia. Ma questa rinuncia ha generato «fatti e non parole» per tante «povere creature» che soffrivano la «miseria e l’abbandono». Davvero gli «scarti». Papa Francesco nell’Esortazione Gaudete et Exsultate, sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo, indica un percorso del quale l’esperienza di “carità” di questi due sacerdoti è un esempio luminoso.