di Carlo Nardi • Gratiam tuam, quaesumus Domine, mentibus nostris infunde, ut qui, angelo nuntiante, Christi filii tui incarnationem cognovimus, per passionem eius et crucem ad resurrectionis gloriam perducamur. Per eundem Christum Dominum nostrum. Amen.
Ne dò una mia traduzione:
«La tua grazia infondi, o Signore, nelle nostre menti, perché, dopo aver conosciuto per l’annuncio dell’angelo l’incarnazione del tuo Figlio, per la sua passione e croce siamo condotti alla gloria della risurrezione. Per Cristo nostro Signore. Amen».
La preghiera era nella ufficiatura di compieta per la festa dell’Annunciazione, il 25 marzo, in Roma ai tempi di papa San Sergio I (697-701). Ora è la orazione detta colletta della quarta domenica d’avvento, quella immediatamente precedente il natale, si direbbe domenica dell’annunciazione per il vangelo da Luca che viene letto. E poi è nella memoria della Madonna del rosario, il 7 ottobre, con aggiunta la menzione dell’intercessione della Vergine, tanto più che era, ed è, tra le preghiere, la più significativa per concludere il rosario e, di regola, l’Angelus, mattina, sera, mezzogiorno. Sicché ci può accompagnare quattro volte al giorno.
E se lo merita, perché è bella davvero, perché breve ed essenziale, – anche per gli accorgimenti letterari di chi in poche parole sa dire molte cose -, conforme alla spiritualità della liturgia romana, richiamata dalla lezione del Vaticano II: «i riti rifulgano nella loro spiccata semplicità e in genere non abbiano bisogno di molte spiegazioni».
In quella preghiera si parla di ‘grazia’, la «cosa principale nel Nuovo Testamento» (san Tommaso d’Aquino): «Ti basta la mia grazia», dice il Signore all’apostolo Paolo. «Dammi il tuo amore e la tua grazia, e son ricco abbastanza» è una bella preghiera di sant’Ignazio di Loyola. ‘Grazia infusa’, perché è «l’amore di Dio effuso nei nostri cuori per lo Spirito Santo che ci è stato donato» (Rm 5,5, innumerevoli volte in sant’Agostino): la grazia non è altro che questo amore donato e da donare, l’agape, caritas, a sua volta presenza e opera di Cristo, della sua persona e dei suoi misteri. E in cinque parole ci sono tutti, quei misteri: quelli che ci dicono soprattutto chi è Lui, vero Dio e vero uomo, l’annunciazione e l’incarnazione, attorno al suo natale; quelli che ci dicono soprattutto chi è per noi, il salvatore e redentore nella sua pasqua, con la sua passione, tutta la fragilità umana «fino alla morte e alla morte di croce» (Fil 2), e con la sua risurrezione. Che è anche la nostra, come la sua passione e morte, nella ‘grazia’ che diventa ‘gloria’, peraltro sempre ‘infusa’ dal Padre per il Figlio nello Spirito Santo e nel contempo meta del nostro cammino per mano del Padre per il Figlio e nello Spirito Santo.
Insomma, perché non impararla a mente, la preghiera? Fa bene. Non solo alla memoria. E allora eccovela nella traduzione liturgica ufficiale:
«Infondi nel nostro spirito la tua grazia, Signore: tu, che all’annuncio dell’angelo ci hai rivelato l’incarnazione del tuo Figlio, per la sua passione e la sua croce guidaci alla gloria della risurrezione. Per Cristo nostro Signore. Amen».