Papa Francesco nella Bolla «Spes non confundit», pubblicata il 9 maggio 2024, con la quale ha indetto il Giubileo Ordinario dell’Anno 2025, in continuità con una plurisecolare tradizione, si è anche soffermato, nel paragrafo n.23, sull’indulgenza.
L’indulgenza – ha scritto Francesco – permette di scoprire quanto sia illimitata la misericordia di Dio. Non è un caso che nell’antichità il termine «misericordia» fosse interscambiabile con quello di «indulgenza», proprio perché esso intende esprimere la pienezza del perdono di Dio che non conosce confini.
Il Sacramento della Penitenza – ha proseguito Francesco – cancella i nostri peccati. Tuttavia, come sappiamo per esperienza personale, il peccato lascia il segno, porta con sé delle conseguenze, non solo esteriori, ma anche interiori, in quanto ogni peccato, anche veniale, provoca un attaccamento malsano alle creature, che ha bisogno di purificazione, sia quaggiù, sia dopo la morte, nello stato chiamato purgatorio.
Dunque permangono, nella nostra umanità debole e attratta dal male, dei residui del peccato che vengono rimossi dall’indulgenza, sempre per grazia di Cristo, il quale, come annotò San Paolo VI è «la nostra indulgenza ».
Papa Bonifacio VIII nella Bolla «Antiquorum habet» pubblicata il 22 febbraio 1300, con la quale indiceva il primo Giubileo della Chiesa Cattolica per l’anno 1300, affermava: «Esiste una sicura tradizione derivante dagli antichi, per cui a coloro che si portano come pellegrini alla veneranda Basilica del principe degli Apostoli in Roma sono largamente concesse remissioni e indulgenze…Noi confidando nella misericordia di Dio onnipotente e nei meriti e nell’autorità dei medesimi suoi Apostoli, con il consiglio nei nostri fratelli e nella pienezza della potestà Apostolica , a tutti quelli …che accederanno con reverenza alle stesse Basiliche, veramente pentiti e confessati… concederemo e concediamo non solo il più pieno e più ampio, ma il più completo perdono di tutti i loro peccati».
San Paolo VI con la Costituzione Apostolica «Indulgentiarum Doctrina», pubblicata il 1 gennaio 1967, volle ricordare alcune verità per l’esatta intelligenza della dottrina delle indulgenze e del suo benefico uso.
E’ dottrina divinamente rivelata – osservava San Paolo VI – che i peccati comportino delle pene inflitte dalla santità e giustizia di Dio, da scontarsi sia in questa terra con i dolori e le calamità di questa vita e soprattutto con la morte, sia nell’aldilà anche con il fuoco o con le pene purificatrici.
San Paolo VI inoltre, faceva presente che possono restare e che di fatto rimangono pene da scontare o resti di peccati da purificare anche dopo la remissione della colpa.
A tal proposito il Papa citava un passo di Sant’Agostino: «Il fatto è che la pena è ben più lunga della colpa; e ciò per non far sottovalutare la colpa, nel caso che con essa finisse anche la pena. Per questo e anche per dimostrare la miseria meritata o per correggere questa fuggevole vita o per esercitare la necessaria pazienza, l’uomo per un certo tempo e vincolato a una pena, anche se non è più vincolato alla colpa che lo faceva degno della dannazione eterna».
La dottrina del Purgatorio, solennemente proclamata nel II Concilio Ecumenico di Lione nel 1274, e testimoniata anche da antichissime preghiere liturgiche ci richiamano all’esistenza di un resto di pena.
San Paolo VI rammentava, inoltre che vi è una solidarietà soprannaturale, per la quale i fedeli, seguendo le orme di Cristo, si sono sforzati di aiutarsi vicendevolmente nella via che va al Padre celeste mediante la preghiera, lo scambio di beni spirituali, l’esercizio delle buone opere e la espiazione penitenziale. E’ questo l’antichissimo dogma della comunione dei Santi.
Così si configura – dice ancora San Paolo VI – il «tesoro della Chiesa» (termine usato per la prima volta dal Papa Clemente VI nella Bolla «Unigenitus Dei Filius» del 27 gennaio 1343 nella quale indiceva il Giubileo per l’anno 1350) costituito dal valore infinito ed inesauribile, che presso Dio hanno le espiazioni ed i meriti di Cristo Signore.
Appartiene, inoltre a questo tesoro il valore immenso e incommensurabile che presso Dio hanno le preghiere e le azioni della beata Vergine Maria e di tutti i Santi; così realizzando la loro salvezza, i fedeli hanno pure cooperato alla salvezza dei propri fratelli, anche defunti.
Ragion per cui tra coloro che hanno raggiunto la patria celeste o che stanno espiando le loro colpe nel purgatorio, o che ancora sono pellegrini sulla terra, esiste un vincolo perenne di carità ed un abbondante scambio di tutti i beni , attraverso i quali la misericordia di Dio viene indotta al perdono.
La convinzione esistente nella Chiesa – prosegue San Paolo VI – che i Pastori del gregge del Signore potessero liberare i singoli fedeli da ciò che restava dei peccati con l’applicazione dei meriti di Cristo e dei Santi, lentamente nel corso dei secoli, sotto l’influsso dello Spirito Santo, continuo animatore del popolo di Dio, portò all’uso delle indulgenze.
L’indulgenza è dunque la remissione dinanzi a Dio della pena temporale per i peccati, già rimessi quanto alla colpa dal Sacramento della Penitenza, che il fedele debitamente disposto e a determinate condizioni ottiene per intervento della Chiesa, la quale come ministra della redenzione dispensa ed applica il tesoro delle soddisfazioni di Cristo e dei Santi.
Per acquisire l’indulgenza plenaria – secondo la consolidata tradizione normativa – è necessario eseguire l’opera indulgenziata (ad esempio il pellegrinaggio ad una Basilica Papale a Roma o ad altra Chiesa stabilita) e adempiere tre condizioni: confessione sacramentale; comunione eucaristica e preghiera secondo l’intenzione del Sommo Pontefice. Si richiede, infine, che sia escluso qualsiasi affetto al peccato anche veniale.