Noterelle sulla «meritocrazia» di Cristo
di Andrea Drigani · La recente nuova denominazione del Ministero dell’Istruzione al quale è stato aggiunto il termine «e del merito» ha ravvivato una discussione, con toni vivaci e contrastanti, appunto, sul merito, sui meriti e sulla meritocrazia.
Il Dizionario della Lingua Italiana redatto da Giacomo Devoto e Gian Carlo Oli, definisce il merito: «L’acquisizione di requisiti validi per una attribuzione secondo equità, di segno positivo o negativo» e la meritocrazia: «Sistema di valutazione e valorizzazione degli individui, basato esclusivamente sul riconoscimento dei merito da loro acquisiti».
La disputa che si è accesa mi ha, però, indotto a fare un balzo in avanti per tornare a meditare sul significato profondamente teologale e cristiano del merito.
San Paolo VI, nella Costituzione Apostolica «Indulgentiarum doctrina» del 1 gennaio 1967, quando parla del «tesoro della Chiesa» afferma che esso non è da immaginarsi come una somma di beni materiali, accumulati nel corso dei secoli, ma come il valore infinito e inesauribile che presso Dio hanno le espiazioni e i meriti di Cristo Signore, offerti perché tutta l’umanità fosse liberata dal peccato e pervenisse alla comunione del Padre. San Paolo VI pertanto, su una precisa e costante tradizione teologica, ribadisce che i meriti di Cristo sono assolutamente necessari per la salvezza delle anime.
In questa luce sono da considerare le relazioni che intercorrono tra i meriti di Cristo ed i nostri meriti. Dalle molte testimonianze su tali connessioni vorrei presentarne almeno tre: una dal Canone Romano e le altre due da Sant’Agostino (354-430) e da San Bernardo di Chiaravalle (1090-1153).
Il Canone Romano, cioè la Preghiera Eucaristica I, redatto tra il IV e il VI secolo, quasi alla conclusione contiene un’intercessione nella quale si implora di entrare nella comunità dei santi: «intra quorum nos consortium, non aestimator meriti, sed veniae, quaesumus largitor admitte» («ammettici a godere della loro sorte beata non per i nostri meriti, ma per la ricchezza del tuo perdono»). Dunque è la forza della misericordia del Signore, meritata sulla Croce, che ci ha riaperto lo porte del Paradiso.
Sant’Agostino dichiara: «Deus cum coronat nostra merita, quid aliud coronat quam sua dona?» («Dio quando corona i nostri meriti, che altro fa che coronare i suoi doni?»). Coronare vuol anche significare dare degno compimento, pertanto l’espressione agostiniana indica che quando ai nostri meriti si da un degno compimento, in verità si da degno compimento ai doni che Dio ci ha elargito e con il suo aiuto abbiamo fruttificato.
San Bernardo di Chiaravalle proclama: «Meum proinde meritum, miseratio Domini» («Perciò il mio merito, la commiserazione del Signore»). E’ da rilevare che San Bernardo usa «miseratio», come sinonimo di «misericordia», che tuttavia esprime un ulteriore senso della condiscendenza del Signore nei nostri confronti. Nei confronti del Signore siamo sempre debitori, giammai creditori.
I meriti di ogni cristiano consistono, dunque, nell’abbracciare i meriti di Cristo.