di Andrea Drigani · Questa frase di Sant’Agostino ci insegna che non è la sofferenza che fa il martire, ma il perché ed il come ha sofferto.
L’espressione agostiniana ben si addice, ancora una volta, a due martiri: i sacerdoti Giuseppe Bernardi nato nel 1897, e Mario Ghibaudo, nato nel 1920, uccisi a Boves, provincia di Cuneo, durante l’eccidio compiuto dai nazifascisti il 19 settembre 1943 e che sono stati proclamati beati lo scorso 19 ottobre.
Don Giuseppe e Don Mario erano rispettivamente il parroco ed il viceparroco della cittadina piemontese che cercarono di salvare pagando con la loro vita. Sono stati riconosciuti martiri perché uccisi dai nazisti al fianco della popolazione nell’esercizio del loro ministero sacerdotale.
Il 19 settembre 1943 i tedeschi colpirono la popolazione civile inerme di Boves dando fuoco a oltre 350 abitazioni e lasciando sul terreno decine di vittime.
C’era stato uno scontro tra partigiani e nazisti e due tedeschi erano stati rapiti. Furono coinvolti Don Bernardi e un imprenditore come mediatori per la loro liberazione, ma nonostante l’esito positivo della trattativa il comandante delle SS ordinò di incendiare il paese.
Don Giuseppe venne trucidato e bruciato insieme ad altri concittadini, Don Mario fu ucciso mentre benediceva un bovesano colpito dal fuoco di un soldato tedesco.
Entrambi i sacerdoti, dunque, tentarono di salvaguardare Boves e i suoi abitanti a costo della loro stessa esistenza, e di Don Giuseppe si è saputo che invitò alcune ragazze a pregare con lui davanti alla salma di un soldato tedesco.
Il cardinale Marcello Semeraro, Prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi, che , a nome di Papa Francesco, ha presieduto il rito di beatificazione, nella sua omelia ha richiamato l’immagine di Mosè, descritta nella prima lettura del giorno, che vinse gli Amalaciti stendendo le mani, un gesto di intercessione a favore di Israele sofferente nella lotta, profezia dell’intercessione di Gesù sulla croce, aggiungendo che Don Bernardi e Don Ghibaudo possono essere assimilati alle due braccia di Mosè innalzate per intercedere a favore della Chiesa.
Il cardinale Semeraro ha poi osservato che compito proprio di ogni sacerdote è intercedere, che la missione sacerdotale è essenzialmente una mediazione di intercessione. Il sacerdote – ha proseguito il cardinale – intercede non perché è santo, o più meritevole di altri, ma perché crede nella forza redentrice del Signore a favore della moltitudine.
E proprio per la carità pastorale, cioè per l’amore del gregge loro affidato che – ha detto ancora il cardinale – sono morti i due sacerdoti della Chiesa di Cuneo; ricordando che Don Bernardi non fuggì per difendere la popolazione e che Don Ghibaudo fu ucciso mentre esercitava il proprio ministero sacerdotale amministrando l’assoluzione ad una persona morente.
Ecco la loro intercessione – ha proseguito il porporato – benedicevano e assolvevano.
«I nostri due beati hanno innalzato, come Mosè, le loro mani verso il cielo intercedendo presso Dio».
L’intercessione però è compito di ogni cristiano – ha concluso il cardinale Semeraro – precisando che la preghiera cristiana è sempre intercessione per tutti gli uomini, e che è la forma ultima della responsabilità cristiana verso il mondo. Quando null’altro possiamo fare anche per la pace e la riconciliazione, ci rimane la possibilità di alzare le braccia verso Dio per intercedere.