Mario Sbrilli (1922-1944) Ricordo in un martire cristiano
di Andrea Drigani · Cento anni fa, il 13 febbraio 1922, nasceva a Firenze Mario Sbrilli, che morì, a ventidue anni, il 17 luglio 1944 a San Polo di Arezzo.
Un martire cristiano che deve essere ricordato, per la sua autentica testimonianza di amore tra le atrocità e le violenze della guerra.
Sin dall’infanzia e dalla giovinezza riceve e partecipa di un’educazione cattolica prima di tutto da parte dei genitori poi nella sua parrocchia dei santi Gervasio e Protasio in Firenze guidata da don Pio Carlo Poggi (1904-1970). Mario Sbrilli prenderà parte attiva al circolo parrocchiale Giac (Gioventù Italiana di Azione Cattolica) divenendone vicepresidente.
Dopo aver conseguito la maturità classica si iscrive alla Facoltà di Medicina dell’Università di Firenze ed entra gruppo della Fuci (Federazione universitaria cattolica italiana) esistente nell’Ateneo fiorentino.
Nel febbraio del 1943, al quinto anno di università, viene chiamato alle armi ed assegnato ad una compagnia di sanità militare di stanza a Firenze. Pochi mesi dopo cade il regime fascista (25 luglio) e viene firmato l’armistizio (8 settembre).
Con la disgregazione dei reparti dell’esercito italiano, Mario Sbrilli decide di ritornare a casa e si mette a disposizione di don Poggi, futura medaglia di bronzo al valor militare, che sta organizzando un’attività resistenziale con un nucleo di giovani per opporsi all’occupazione tedesca.
La parrocchia dei santi Gervasio e Protasio diviene uno dei punti principali dell’antifascismo fiorentino ed un nascondiglio per le armi destinate alle formazioni partigiane. Don Poggi provvide anche ad un piccolo ospedale da campo, che tra gli altri collaboratori vide pure la presenza di Mario Sbrilli, in quanto studente di Medicina.
Fu lo stesso don Poggi che indirizzò, poi, Mario Sbrilli alla Brigata garibaldina Pio Borri, operante nell’Alto Casentino, in provincia di Arezzo, per assumere la responsabilità del servizio sanitario della Brigata medesima.
Nel luglio 1944 i tedeschi, che ripiegavano verso nord, si scontrarono con un gruppo di partigiani in località Molin dei Falchi, sempre nell’Aretino. I reparti germanici fecero prigionieri quarantanove persone, compresi civili, donne e bambini.
Tra coloro che erano stati presi vi è anche Mario Sbrilli, che pur potendo esibire la croce rossa, segno dell’opera sanitaria, preferì rimanere tra i catturati.
I tedeschi condussero i prigionieri verso San Polo di Arezzo e arrivati a destinazione, i condannati furono costretti a scavarsi una fossa comune e al termine il comandante tedesco e alcuni suoi soldati cominciarono a colpirli con una grossa canna di gomma allo scopo di renderli incoscienti e di seppellirli ancora vivi.
Dinanzi alle urla di dolore e di terrore, Mario Sbrilli decise di scagliarsi contro i tedeschi per farli desistere dal loro intento, ma fu ucciso da una raffica di mitra.
Al termine della guerra l’Università degli Studi di Firenze concesse a Mario Sbrilli la laurea «honoris causa» in Medicina e chirurgia.
Nel 1952 veniva decretata, alla memoria di Mario Sbrilli, la medaglia d’oro al valor militare.
San Paolo VI ha scritto che: «L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri».
Ecco perché ho voluto richiamare la storia di Mario Sbrilli.