A cinquant’anni da un articolo sul diritto penale canonico

202 250 Andrea Drigani
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di Andrea Drigani · Nel 1972 sulla «Rivista italiana di procedura penale» usciva un articolo di Giuseppe Bettiol (1907-1982) intitolato «Sullo spirito del diritto penale canonico dopo il Concilio Vaticano II».

Fu un articolo che ebbe una notevole risonanza e suscitò un grande interesse culturale ed ecclesiale, e che indicava, tra l’altro, alcune prospettive che si sono poi ritrovate nella nuova legislazione canonica.

Giuseppe Bettiol era nato a Cervignano nel Friuli, e dopo gli studi classici a Gorizia, si laureò in giurisprudenza all’Università Cattolica di Milano. Intraprese la carriera universitaria, prima come assistente, poi come docente straordinario, quindi ordinario di diritto penale nelle università di Urbino, Cagliari, Trieste e Padova.

Legato ai gruppi antifascisti cattolici, entrò nella DC della quale fu parlamentare ininterrottamente dal 1946 al 1976. Fu, infatti, Deputato all’Assemblea Costituente, e alla Camera dei Deputati nelle prime quatto legislature della Repubblica, nonchè senatore nella quinta e sesta legislatura. Ricoprì inoltre gli incarichi di Ministro della Pubblica Istruzione e di Ministro per i Rapporti col Parlamento.

Nella penalistica italiana del dopoguerra, come è stato rilevato, Giuseppe Bettiol grandeggia per la compatta coerenza e l’originalità del suo sistema del suo sistema di pensiero, radicato esplicitamente nelle premesse cristiane. Fu tra i penalisti italiani uno dei più conosciuti e apprezzati all’estero.

Nel predetto articolo del 1972, pur precisando di non essere un canonista, Bettiol cercò di rispondere ad una diffusa insofferenza, che a quell’epoca esisteva, nei confronti del diritto canonico e intese anche proporre alcune riflessioni, forte della sua specifica competenza, sulla futura normativa penale canonica.

Circa l’ostilità nei confronti del diritto canonico, Bettiol, seguendo anche le osservazioni dello storico Stephan Kuttner (1907-1996), sosteneva che andava evitata la confusione tra «giuridismo» e «giuridicità», cioè tra l’esagerata importanza assegnata all’elemento tecnico-giuridico nella vita della Chiesa, e la constatazione che la Chiesa, nella sua struttura sociale e organica, non può essere concepita e non potrebbe operare senza una norma comune, senza qualche forma di diritto.

Riguardo alla futura legislazione penale della Chiesa tra i diversi suggerimenti che Bettiol proponeva concernenti alcuni temi, in particolare desidero soffermarmi su due: il principio di legalità e quello del cosiddetto «diritto penale dell’atteggiamento interiore».

Il principio di legalità, che costituisce uno dei principi fondamentali dell’ordinamento penale degli Stati, è espresso nella frase: «Nullum crimen nulla pena sine lege», volendo affermare che i delitti e le conseguenti pene devono essere rigorosamente ed espressamente previsti dalla legge.

Bettiol riteneva che questo principio inderogabile per gli ordinamenti statali, poiché tutelava la dignità della persona umana da ogni arbitrario intervento, poteva nell’ordinamento canonico, attesa la natura «sui generis» e spirituale di quest’ultimo, essere in qualche modo superato, peraltro come scritto nel can. 2222 del «Codex iuris canonici» del 1917, laddove prevedeva la possibilità di punire senza che una legge prevedesse una sanzione.

Per Bettiol sia pure con i perfezionamenti che le esigenze di giustizia e di certezza e la moderna tecnica legislativa richiedono, tale disposizione non poteva del tutto essere omessa, per non privare l’autorità ecclesiastica di uno strumento che, in qualche caso, era da ritenersi assolutamente necessario.

Questo parere di Bettiol sembra essere stato accolto; infatti Il vigente «Codex iuris canonici», promulgato nel 1983, al can. 1399 recita: «Oltre ai casi stabiliti da questa o da altre leggi, la violazione esterna di una legge divina o canonica può essere punita con giusta pena o penitenza, solo quando la speciale gravità della violazione esige una punizione e urge la necessità di prevenire o riparare gli scandali».

Circa il cosiddetto diritto penale dell’atteggiamento interiore, sostenuto da una scuola giuridica tedesca (intorno alla parola «Gesinnung»), Bettiol osservava che deve essere visto come un diritto penale che voglia sottolineare i dati, i momenti, le valutazioni di coscienza del reo, le possibilità di una sua più o meno accentuata ribellione alla volontà della legge. Il delitto si può considerare costituito da tre elementi inseparabili: il fatto, l’antigiuridicità del fatto, la colpevolezza. Il diritto penale dell’atteggiamento interiore può aiutare a comprendere la sussistenza e il grado della colpevolezza. In tale contesto si intuisce a quale compito è chiamato il giudice.

Bettiol sosteneva che : «Se il diritto penale canonico del domani dovrà essere un diritto aperto non potrà trascurare i momenti della «Gesinnung»» . Direi anzi – proseguiva – che se c’è un campo di prova circa la validità di tale impostazione questo è proprio il campo del diritto penale canonico, nell’ambito del quale il momento della certezza giuridica non assume quelle forme spesso farisaiche e intolleranti del diritto penale dello Stato».

Per questo Bettiol auspicava che venisse accordata al giudice ecclesiastico una maggiore ampiezza in relazione al giudizio circa la personalità morale del reo quale si è manifestata in un’azione frutto di una coscienza consapevole e riprovevole.

La pena ecclesiastica è, secondo la dottrina canonica, la privazione di un bene spirituale per la correzione del delinquente e il castigo del delitto.

In un discorso al Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, pronunciato il 21 febbraio 2021, Papa Francesco ha rilevato che la sanzione canonica ha anche una funzione riparatoria e salvifica e cerca soprattutto il bene del battezzato, per cui rappresenta un mezzo positivo per la realizzazione del Regno, per ricostruire la giustizia nella comunità dei fedeli, chiamati alla personale e comune santificazione.

L’articolo di Giuseppe Bettiol ebbe il merito di iniziare un cammino per un rinnovato studio al fine di ricomprendere il diritto penale canonico nella fedeltà alla tradizione e al Vaticano II.

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