Sant’Anna tra dolci nidi, acque feconde e i canti di gioia.

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di Carlo Nardi ·

1. Antiche testimonianze.

Mi son trovato più volte a pensare e a scrivere su sant’Anna. Dico: S. Anna e gli antichi testi, in Sant’Anna dei Fiorentini. Fede, storia, arte, tradizione, a cura di A. Valentini, Firenze 2003, pp. 73-81; Id., Per chi non lo sa. Le burrasche di sant’Anna, in Il mantello della giustizia in rete, luglio 2017, nonché in Parrocchia di Santa Maria a Quinto in Sesto Fiorentino. Lettera settimanale ai parrocchiani 3 (1° luglio 2017) n. 23, pp. 1-2; e Sant’Anna con antiche testimonianze in Il mantello della giustizia in rete, aprile 2020.

Difatti, qualche tempo fa mi piacque un modo di dire d’una parrocchiana, la Sira che sciorinò una memoria con soli tre punti.

E Sant’Anna di Giovacchino sposa,

madre della Madonna,

nonna del buon Gesù.

Era il 2009, mentre una canicola del luglio, assolato e assetato, induceva soltanto sospirare nell’attesa delle volute piogge che pur ci fanno pensosi perché ‘Dio ce la mandi bona, e senza vento’, mentre, dopo i calori, ecco ‘le burrasche di sant’Anna’, verso al ventisei del mese, il giorno della festa, quella di lei insieme a lui, Gioacchino, il quale, con quel suo nome vetusto, non poteva esser altro se non un vegliardo.

Tant’è il Padreterno quella festa l’aveva voluta, e in cielo e in terra. E se gli umani ci mettessero un po’ di scienza e di coscienza, per anni e forse secoli, sarebbero rammentati per cose buone e, a maggior ragione, nel ragionare sui venerandi coniugi. Si sa che i Testamenti, Vecchio e Nuovo, che la Chiesa dice canonici, tacciono alquanto su scritti cosiddetti apocrifi. Non di meno, un’antica devozione era già al lavoro nel secondo secolo. Difatti, non paghi della sobria essenzialità dei quattro Vangeli, ricevuti e assunti dalla grande Chiesa, ben presto si fece avanti un stuolo di racconti, che giungono a noi pii e curiosi. Uno in particolare il cosiddetto Protoevangelo di Giacomo o meglio La Natività di Maria, quella appunto di sant’Anna e di san Gioacchino, e della Vergine santa, e quindi nonna e nonno di nostro signor Gesù Cristo. E, a forza di raccontare, sembra voler riempire zone d’ombra per temere un vuoto imbarazzante: e del resto non erano autori assai vari nel ciclo epico greco, rapsodi itineranti, rispetto a vicinanze e divergenze, ed iliadi e odissee per quanto ci è rimasto?

Tuttavia alcuni antefatti dei Vangeli sia di Matteo che di Luca con l’infanzia di Gesù si ritrovano nel Protevangelo di Giacomo in alcune parti, circondato anche da altri Apocrifi del Nuovo Testamento, su cui peraltro c’è un libro a cura di Anna Lenzuni, assieme a Manfredo Manfredi, Elena Giannarelli, Paolo Carrara, Laura Bocciolini Palagi, Paolo Sacchi, Paolo Marrassini e chi scrive tra ‘Letture patristiche’ (Bologna 2004). Tra i molti scritti apocrifi di tipo devozionali è notevole lo Pseudo Matteo, opera in latino dei primi cristiani. Era noto al dottissimo Girolamo, peraltro assai sospettoso per tale letteratura ritenuta di bassa lega, e non senza una ragione. E se il Vangelo secondo Luca si apre, poco prima, con l’annunciazione dell’arcangelo Gabriele alla vergine Maria (Lc 1,26-38), il suddetto Protevangelo, o Protovangelo, invece avvia con sant’Anna, la madre della Madonna.

E di Anna ci sono altre nelle sacre Scritture, e direi nomen omen. La prima Anna è la madre di Samuele, gratificata dal figlio insperato per volontà divina, al quale il piccolo è donato. Di fatti Anna era sterile, ma Dio intervenne ed ella fu madre. Fu come nel caso di Sara, moglie Abramo e madre di Isacco, e infine nel Nuovo Testamento – finalmente una donna! – Elisabetta, la madre di Giovanni Battista: madri, consacrate per essere chiamate a grandi cose in una totale dedizione a Dio. Anche Anna è liberata da un’incresciosa sterilità, del tutto simile alla giovane Sara, in tempo all’incapacità di convolare a nozze vitali e feconde finalmente all’inatteso incontro Tobia, poco più che ragazzo.

La “nostra” Anna, come la futura sposa Sara del giovane Tobia, è schernita per il suo ventre infruttuoso, e invece negli antichi testi cristiani si diffonde, qual profumo, d’una orazione da risvolti cosmici: tant’è che Anna rende partecipi della sua sventura uccelli d’aria e bestie acquatiche e terrestri; e come Sara in preghiera accorata, alfine esaudita, il tutto umanamente e ancor piamente.

Non senza un perché il nome Anna dice in ebraico ‘grazia’ e ‘consolazione’, e comunica un pudico affetto sponsale e traboccante devozione. E Maria, la figlia, anche lei desiderata e insperata, offerta a Dio nel Tempio – parla ancora il Protevangelo – si consacrata nella verginità. Decisiva, sceglie la sua vita, accentua, rispetto alla madre bramosa di prole, il suo ‘faccia di me’ (faciat me secundum verbum tuum), pressoché inaudito di una verginità in sintonia con l’assoluta iniziativa divina con la nascita del figlio di Dio senza concorso d’uomo. Se pertanto la figlia tende ad assumere nell’integrità verginale, la maternità fisica, – nel Protevangelo è una delle più antiche testimonianze della verginità in partu e peraltro in parto senza doglie -, Anna, come l’antica Sara, assurge a matriarca, l’ultima a garantire la discendenza fisica, abramitica, del Figlio di Dio che al contempo è il figlio dell’uomo.

Da queste premesse è quanto mai logico che nel prosieguo della sua leggenda agiografica, sant’Anna succeda alla ‘bugiarda pronuba’ (Manzoni) per mostrare poi nell’iconografia la piena umanità del divino Nipote. Sono sviluppi successivi, ma impliciti negli antichi documenti, in particolare nel Protoevangelo, fatto conoscere dall’erudizione fiorentina del papirologo Ermenegildo Pistelli (Protevangelo di Jacopo. Prima traduzione italiana con introduzione e note. Segue un’appendice dello Pseudo Matteo, Lanciano 1920.1929), di don Giuseppe Bonaccorsi (Vangeli apocrifi, Firenze 1948), don Enrico Bartoletti: congiunture storiche che sembrano legare ulteriormente rispetto ad un suo patrocinio sant’Anna con Firenze (C. Nardi, Mario Naldini e la papirologia, in I papiri letterari cristiani. Atti del convegno internazionale di studi in memoria di Mario Naldini a dieci anni dalla sua scomparsa. Firenze, 10-11 giugno 2010, a cura di G. Bastianini e A. Casanova, Firenze 2011, pp. 1-20 con l’Istituto Papirologico ‘G. Vitelli’, Studi e testo di papirologia. Nuova serie 13).

2. Cinguettio di nidi, e frustrazione e rivalsa.

Dal Protevangelo di Giacomo Anna risulta frustrata della prole, scoraggiata, abbattuta per una sterilità di fatto. Ma da chi dipende? Da lei, ricettacolo repellente o almeno inaffidabile, o dal morto seme di lui, Gioacchino, o addirittura dalle sue flosce membra? Lo sguardo di Anna si posa su uno stormo di uccellini. C’è una certa invidia per quel tripudio di canti e di voli, di amore e di vita? Uccellini, passerotti: per gli italiani, nondimeno toscani, e non solo nella immaginata Monticelli di Narciso Parigi, “uccello” e “passera” nel parlar figurato non hanno bisogno di tante spiegazioni. Un po’ più di spiegazioni ci vogliono per il greco di Aristofane, nella Lisistrata, ma poi non più di tanto, perché rizzare le ali per spiccare il volo è proprio di lui, di lui maschio, s’intende. Quel che doveva mancare al vecchio Gioacchino. E tra i romani Persio chiamava con la sua Satira (1,26) Titi, nome che designava una specie di uccelli, i giovanotti romani piuttosto su di giri per certe letture ardite.

Si tratta insomma di lui, uccello, o appunto del suo che cerca il nido, di lei, s’intende, e quindi madre a custodire il suo nido. Così, semplicemente, una succinta sintesi d’un vastissimo immaginario coitale. Insomma, la tragedia della sterilità, particolarmente sentita in Israele, il cui segno distintivo, la circoncisione vuol dire anche via libera, senza ostacoli di prepuzi, al concepimento, alla generazione. Sicché da lei non sarebbe mai potuto nascere il messia atteso. E sterilità di lei, donna secca, soda, inutile, o del marito Gioacchino, risecchito, infrollito o addirittura appassito? Di chi la colpa, per chi l’infamia, su chi la maledizione? Vite fatte per dare vita, per procreare, ma deludenti. Di qui l’invidia per gli uccellini, con il loro tripudio di canti, di amori, con i loro nidi, con la loro famiglia, dove c’è una maternità e una paternità, che Gioacchino ed Anna ignorano. Nido che è l’utero di Sara per il fallo di Gioacchino, nido che è la loro casa, per una certa identificazione biblica, in Isaia, tra l’inabitare e il penetrare.

E non era una storia nuova: era una tragedia, per cui si erano ricercati tutti gli accorgimenti umani, persino uteri in affitto come quello di Agar in sostituzione della matriarca Sara, consenziente e contento il patriarca Abramo, beato, peraltro relativamente, tra le donne. E non solo. Di fronte a un motivo ricorrente occorre trovare nelle molteplici testimonianze somiglianze e differenze.

Qualche considerazione, dai confronti, è opportuna?

A una prima occhiata, Anna come Sara. Eppure Abramo era stato già padre e, diversamente da Sara per Abramo, Anna non affitta uteri per Gioacchino.

Allora, Anna di Gioacchino, come l’antica Anna, futura madre di Samuele. Ma Elcana, il suo tenero e affettuoso marito, aveva già avuto figli dall’altra moglie legittima: la nuova Anna invece non ha rivali in casa. Una conclusione si può trarre: né Abramo né Elcana erano sterili, lo erano le donne, Sara e Anna.

C’è poi la madre di Sansone, figlio unico o almeno primogenito. Sterile lei o il marito? Infine Elisabetta, futura madre del Battista. Sterile lei o Zaccaria. Un’altra conclusione. La sterilità è allo stesso numero di probabilità da parte dell’uomo che della donna: sterile lei, Anna, o Gioacchino? L’incertezza umanizza l’uomo, il maschio, – nessuno è perfetto -, riabilita, in un’implicita guerra fra sessi, la donna. Parità biologica, anche patologica, parità assiologica?

Non solo parità della donna. Forse una rimonta. Le precedenti madri della serie hanno partorito tutte figli maschi. Salute e figli maschi! per i loro impazienti mariti. Donde maschietti promessi da Dio come Isacco e Samuele fanciullo, consacrati come Giovanni sobbalzante in grembo. Invece Anna ha una figlia femmina: tutto ciò ed oltre nella festa della concezione di sant’Anna, la futura Immacolata, più che promessa, votata, consacrata, presantificata: addirittura immacolata, una femmina, da sempre purtroppo considerata emblema dell’instabilità della passione!

Insomma si ravvisano toni di rivalsa. Perché la preghiera di Anna ha i suoi effetti. Quali? La reviviscenza di Gioacchino, specialmente in omelie bizantine, l’eruditio puellae, la madre che insegna alla fanciulla a leggere, anche nell’iconografia tarda, l’ostensio pueri e, del divino Infante, l’ostensio naturae, della ‘natura’, con cui anche i nostri vecchi intendevano il sesso. Il tutto da quei nidi e uccelli svolazzanti e canterini, invidiati da Anna, senza scomodare troppo il dottor Freud, ma fidando del linguaggio comune (C. Nardi, Lo sposo e la sposa. Multiforme ierogamia nelle consegne dell’antica letteratura cristiana, in Religioni e società. Rivista di scienze sociali della religione 16 [2001], 40-41, pp. 180-221; Id., La grande Artemide. Introduzione ad Efeso cristiana, in La Lettera agli Efesini nel cristianesimo antico, a cura di A. Lenzuni, Bologna 2008, pp. 19-63).

3. Acque feconde.

Nella sua accorata preghiera nel Protovangelo di Giacomo sant’Anna (si raccomanda e s’indirizza anche alle acque, vitali e feconde. Insomma, tutto il contrario del suo risecchire. C’è la memoria del brulicare genesiaco. Dopo il tripudio degli uccelli e la fecondità delle bestie terragnole, ci sono le realtà per noi inanimate, ma non così per gli antichi: le acque vitali, la terra madre. Qualche considerazione, a caldo o a freddo, ben sapendo che la bibliografia è sterminata.

Sì, il simbolismo dell’acqua è molteplice. Sa di reviviscenza. In effetti, l’esperienza dell’acqua ci strappa espressioni di rinascita. Dopo una doccia o un bagno viene da dire: ‘mi sento rivivere’, ‘rinascere’, dopo aver goduto le sensazioni dello sguazzare, superato il timore dell’immersione. L’acqua è connessa alle origini biologiche e alla loro percezione. Il patir la sete fa gridare: acqua. L’esperienza della sporcizia, della loia, fa invocare: acqua. Si beve, si ha bisogno di bere. Ci si lava, ci si vuol lavare. Insomma, acqua è vita.

Dove c’è acqua, c’è vita. Nelle riflessioni degli antichi greci, – gl’inventori della filosofia, che vuol dire amore per il sapere -, l’elemento acqua è identificato con la materia mater, l’hypokeímenon aristotelico, materia prima che permane in tutte le ulteriori differenziazioni, suscettibile di assumere tutte le forme.

Ci sono conferme biologiche. Ancora la biologia dà conferme, nella correlazione acquatica tra ontogenesi e filogenesi, tra il singolo essere vivente originato da un liquido seme e accagliatosi, come il latte in cacio (sicut lac me coagulasti, nel latino della Vulgata in Giobbe, in una delle lezioni del vecchio mattutino dei defunti), entro il liquido amniotico e la lenta storia dei viventi emersi dai mari. Talete ed Empedocle ci avevano azzeccato.

Come le cosmogonie mitiche. Perché non importa aspettare la filosofia greca. Anche in Omero tutto viene dall’acqua, dalla grande Teti. Le cosmogonie parlano di acque primordiali, femminili, materne, lunari, – l’Artemide efesina -, e di un rugiadoso seme divino, maschile paterno, solare, apollineo.

Le cosmologie filosofiche tematizzano l’intuizione del mito da Talete di Mileto in poi: l’acqua è pura potenzialità suscettibile di ogni forma, “umile acqua” (san Francesco), materia madre.

Insomma, nel mondo greco, secondo la cosmogonia di Omero, da Teti, ninfa marina, nacquero dei e uomini; Talete poneva come principio (arché), causa e al tempo stesso garanzia dell’esistenza di tutte le cose che sono, l’acqua, elemento che, immutabile, suscettibile di tutte le forme.

Nell’Antico Testamento l’acqua è presentata come elemento primordiale già nella Genesi: «sulle acque caotiche» «si librava lo spirito di Dio», l’elemento fecondante, vitale, strutturante, significante rispetto alle acque, capaci di diventare tutto (Gen 1,2).

Le sacre lettere danno conferma alla fenomenologia umana. La Genesi si apre con lo Spirito di Dio che «aleggiava sulle acque»: covava le acque, secondo tradizioni semitiche, per lo più siriache, acque potenzialmente ed effettivamente vitali.

Non solo, se secondo una tradizione, con qualche conferma nella topografia di Gerusalemme la casa di Anna e Gioacchino, pastore, sarebbe stata attigua alla piscina probatica , la ‘vasca delle pecore’, – trasposizione arcaizzante della basilica bizantina dedicata ad Anna, ivi costruita, con l’ipotesi di una fondazione della chiesa sulla casa della titolare -, se la piscina probatica è collegata alla guarigione di un paralitico, insieme alla sua giustificazione, si tratta di acque in qualche modo battesimali. D’altra parte è difficile trovare acque ‘cristiane’ non connesse al battesimo.

Acque battesimali, dunque. Anche in questo caso, con semplicità. Che ci vuole per battezzare? L’acqua. E’ la risposta più spontanea e immediata. E anche giusta. In effetti, il ‘battesimo’ presuppone un’‘immersione’: il greco baptízein ‘battezzare’ proviene da báptein ‘immergere’, come il tedesco Taufe e taufen ‘battesimo’ ‘battezzare’, da cui direttamente l’italiano ‘tuffo’ e ‘tuffare’. Mentre per gli altri sacramenti la Chiesa utilizza materia lavorata dall’uomo, l’acqua per il battesimo, primo sacramento, porta della salvezza (ianua salutis), è materia non manipolata (C. Nardi, Dal tedesco “Taufe”. Tuffi e battesimo tra estetica ed etica, in Giornale di Bordo di storia, letteratura e arte terza serie 38 [2015], pp. 21-28).

Nella chiesa apostolica e immediatamente seguente si preferiva il battesimo nell’acqua corrente, raccomandato dalla Didachè. Filippo, uno dei sette scelti dagli apostoli, immerge il ministro della regina di Etiopia. Nel vangelo della Samaritana il ‘pozzo’ diventa «sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna» (Gv 4,10). Poi si adattarono a fonti battesimali anche i bagni in cui gli antichi passavano parte del pomeriggio a rilassarsi. Già, perché anche dopo un bagno ci si sente rivivere.

D’altra parte l’acqua ha molto da dire. A maggior ragione l’acqua materia del battesimo, come dicevano con la teologia i catechismi. Nella tipologia del diluvio è la morte di un eone e la nascita di un nuovo eone, con l’alleanza attraverso l’arca, prefigurazione della Chiesa (Gen 6-9). L’altra tipologia veterotestamentaria è il passaggio del mar Rosso nell’esodo, sintetizzata da un lato nel praeconium paschale, dall’altro lato nell’odierna benedizione dell’acqua battesimale, quindi il battesimo si collega all’attualizzazione della Pasqua dell’Antico Testamento nella nuova Pasqua cristiana, che è efficace per il fedele attraverso il segno del Battesimo. A questo proposito nell’antichità cristiana ci sono due concezioni della Pasqua: Pasqua come Passio, come Passione, quindi il Battesimo diventa la partecipazione alla Passione e morte di Cristo, la quale ha già in se la risurrezione (il greco pascha per paretimologia da paschein soffrire); e Pasqua come transitus, passaggio, e abbiamo allora, secondo la lettura più corretta dell’Esodo, il passaggio dall’Egitto (che rappresenta il peccato, l’idolatria, la morte, ecc.) alla libertà.

Il battesimo è quindi gravido di significati, e d’altra parte l’itinerario battesimale serve per capire la struttura del battistero: c’è la creazione a partire dal caos, dalla ataxia platonica della chora, dallo spazio indifferenziato, alla taxis, all’ordine e quindi alla vita; c’è il passaggio del popolo dalla morte dell’Egitto alla vita, dalla schiavitù del peccato alla libertà.

C’è il passaggio di Cristo da questo mondo al Padre nella sua morte e risurrezione, c’è il passaggio del cristiano dall’uomo vecchio all’uomo nuovo nel battesimo, al Figlio di Dio, al bambino spirituale. Dunque il battesimo d’acqua contiene tutto, dal mistero cosmico (in riferimento alla creazione) al discorso storico (la storia del passaggio del Mar Rosso; e l’evento Cristo, evento hic et nunc) ma nello stesso tempo all’escatologia; Clemente Alessandrino infatti intravede nel Battesimo un ‘proto-purgatorio’ come ‘Pasqua in atto’, come cammino dell’anima verso la sua divinizzazione; del resto il Purgatorio dantesco oltre ad una dimensione penitenziale (sette P ne la fronte mi descrisse col punton della spada) ha anche una dimensione battesimale, infatti Dante fa un bagno nel Lete.

Bagno … regressus in uterum, ingressus in uterum, egressus ex utero. Acque garanzia di rinascita. E si può dire: Il tutto nel battesimo. E il tutto, antropologico e cosmico, si ripresenta, assunto, nel battesimo, ‘immersione’ in greco, Taufe in tedesco, il nostro ‘tuffo’: non c’è che far mente locale, con una sintesi fantastica tra spiaggia e chiesa, alla molteplice ritualità del battesimo, del battesimo specialmente nell’ambito della veglia pasquale, ritualità attuale felicemente patristica, liturgia pasquale di immersione nelle tenebre, nelle acque, ed emersione alla luce, alla vita, al profumo del crisma, al banchetto nuziale. Il tutto ancora nella vita personale cristiana: morte e vita in Cristo crocifisso e risorto, dal battesimo all’identificazione paolina con Cristo: un morire e vivere, un vivere e morire in Cristo crocifisso e risorto.

Anche sotto questo aspetto si ritrova la vicenda di Anna, che sembra assumere connotati di profezia battesimale.

4. Tra le filastrocche.

A proposito di saggezza popolare, non posso fare a meno di integrare il contributo in Sant’Anna dei Fiorentini, sotto citato, con l’apporto di un’altra fonte, la Lola del Chiavaccini, parrocchiana di Santa Maria a Quinto in Sesto Fiorentino, da testimonianza ricevuta addì 31 di maggio ’04, la festa della visita della Madonna a sant’Elisabetta, – siam sempre nei vangeli dell’infanzia e nei misteri gaudiosi del rosario … L’aggiungo a una filastrocca con cui concludevo il mio articolo su sant’Anna. Eccone la varia lectio questa sestese rispetto alla pistoiese:

Anna, sant’Anna, foste balia e mamma.

Quarant’anni viveste e non aveste

né figli né figliole!

Un dì dal cielo un angiol fu calato

e disse ad Anna: Una figlia avrai:

la gran Madre di Dio partorirai.

Si formulano voti e si dice:

Se questa grazia io la devo avere,

fatemela sognare, e vedere

chiesa parata,

prato fiorito

e tavola apparecchiata.

Se questa grazia non la devo avere,

fatemi sognare e vedere

acqua corrente,

fuoco ardente,

spada pungente

che non faccia male ad alcuna gente.

E si conclude con tre ave, pater, gloria.

Provar per credere?!

Non è proprio una preghiera da approvazione ecclesiastica, ma tra quello che gira la ci potrebbe stare e poi nessuno la prenderebbe troppo sul serio, e non farebbe un gran male. Anzi, sant’Anna vi si mostra ancora mamma e nonna premurosa, e c’è da ben sperare per qualche acquata davvero provvidenziale.

Per chi volesse approfondire ulteriormente, cf. C. Nardi, Acque del Mediterraneo. Esperienza umana, interpretazione cristiana, in Giornale di Bordo di storia, letteratura ed arte terza serie 13 [2004], pp. 44-46; cf. H. Rahner, L’ecclesiologia dei Padri. Simboli della Chiesa, Roma 1971, pp. 865-938; M. Eliade, La nascita mistica. Riti e simboli d’iniziazione, Brescia 1974, pp. 171-178; Id., Trattato di storia delle religioni, Torino 1954, pp. 193-221). E per riprendersi dalle paturnie meglior non c’è che I grilli (anno 1856), autore Antonio Guadagnoli (1798-1858) (in Gosto e Mea. I grilli. Il movimento. Epistola, a cura di G. Amerighi, per la Libreria Editrice Fiorentina), benemerito de Il vero Sesto Cajo Baccelli. Guida dell’agricoltore. Lunario per l’anno tra le mie mani, ossia del nonno 1959. Edizione C. Ruffilli. Firenze (315).

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