Dante, il suo mondo, la sua vita. Un libro

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di Francesco Vermigli · Esistono libri che si leggono tutti d’un fiato. Non conta che questi libri ammontino a centinaia di pagine; per leggerlo tutti d’un fiato conta lo stile con cui sono scritti, le suggestioni che suscitano, la bellezza che fanno intravedere ad ogni scorcio della pagina. È questo il caso di una recentissima pubblicazione, uscita per i tipi di Bompiani, per mano di un autore, che chi scrive aveva conosciuto per un libro precedente, di tutt’altra fattezza rispetto a quello che ci apprestiamo a commentare. Un libro, quello, che narrava una partita entrata nella storia del nostro Paese: una partita giocata in Spagna in uno stadio che non riusciva a contenere gli spettatori e che richiama alla memoria i nomi di Falcao, Zico, Socrates e Junior e Gentile, Cabrini, Antognoni, Zoff e tre volte Paolo Rossi e Nando Martellini, che sbaglia a dare il risultato che tutti attendono. Insomma, questo era il titolo: La partita. Il romanzo di Italia-Brasile.

Il libro che qui presentiamo e di tutt’altra fattezza, si diceva… o forse no. Perché forse lo stile con cui si approccia il tema è monumentale e vorticoso, allo stesso modo di quello usato nel libro che si volgeva alla partita giocata dagli italiani, come la partita di una vita. L’autore è appunto lo stesso di quel romanzo calcistico, Piero Trellini; il titolo è Danteide, ad evocare, crediamo, l’epopea di quel tal figlio di Anchise, esule da Troia; come l’Alighieri fu esule dopo la cacciata ignominiosa da Firenze, fino alla morte.

A volerla dir tutta, il parallelo con Enea non finisce qui, se andar per le pagine di questo libro significa scoprire storie piene di lotte e faide, e armi e uccisioni e fazioni e partiti. Insomma si parla di un uomo e di un mondo feroce e bellicoso; e al liceale di oggi si insegna ancora come comincia il primo esametro di quel poema antico? Arma virumque cano: lo sanno ancora i liceali? Ma a voler far paralleli ulteriori, forse quello che meglio s’adatta è il celebre incipit dell’Ariosto, a rendere più dolce con gli amori e le contese sentimentali quell’aria nefasta di lotte e morti: Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori, le cortesie, l’audaci imprese io canto… potrebbe dire il Trellini, a buon diritto. L’orizzonte del libro è disegnato dunque di rose e di spade; non solo di spade (oggi si direbbe piuttosto Guns N’ Roses). E in mezzo a questo mondo di amori e lotte tra fazioni, sta Dante. È il mondo di Dante, un mondo sanguigno e popolare; ma è il mondo da cui si erge come un monumento il poema per eccellenza della nostra letteratura.

Tutto inizia attorno a delle ossa, che le mani giudiziose di un frate seicentesco avevano nascosto un po’ più in là, rispetto al luogo in cui tutti se le attendono. Sono le ossa, e soprattutto il cranio, a scatenare la gente e i notabili di Ravenna e i professori che giungono da Firenze. Sono le ossa del Sommo poeta, lo veniamo a sapere: è certificato. E l’agitazione è comprensibile. Erano gli anni, quelli, in cui un tale politico piemontese andava dicendo che se anche l’Italia era stata fatta, dovevano ancora esser fatti gli italiani. Ma per far gli italiani e dar loro una cultura nazionale, quale ricordo poteva essere più adatto di quello del Vate del tempo antico, il sommo poeta dell’evo della lingua italica nascente? Cadeva a fagiolo, come si suol dire, quel ritrovamento.

Tutto inizia con la concitazione generata dal ritrovamento dei resti mortali del poeta, sorta di reliquia di un santo laico; si diceva. Poi si va a ritroso, si va all’epoca del Sommo poeta, alla sua famiglia, alla sua storia, al suo mondo. E i personaggi della Commedia, tornano a vita nuova nelle pagine di questo libro. Tornano a vita nuova restituiti Gemma Donati e Paolo Malatesta, Beatrice e il re Enzo e i mille volti della Commedia. Torna anche a vita nuova, sulla pagina del libro, un tale Buondelmonte dei Buondelmonti, che per ragioni biografiche è caro a chi scrive queste righe; e che se l’avesse preso l’Ema, prima di scendere in città, sarebbero stati contenti tutti, ci dice Dante.

Ci par di tornare a Montaperti, luogo di una battaglia devastante; ci pare di essere tra le vie di Firenze, umide e brulicanti di mercanti e artigiani. Ci pare di essere là, e di vedere Dante, dietro quella cortina fumogena che è la sua opera. Che se è una meraviglia, se è divina; può fare anche da schermo e Dante si può non vedere.

Intendiamoci, non è un libro storico. È un romanzo, che parte da dati certi, ha una buona conoscenza delle dinamiche della vita religiosa e sociale del Medioevo; e questi dati li rielabora nella finzione letteraria e ce le restituisce, comunque verosimili. E che fece quell’altro che venne a sciacquare i panni in Arno se non proprio questo? Dalla storia della Milano del ‘600 prese un insegnamento, una morale, un messaggio, un capolavoro.

Il libro del Trellini non lo potremo paragonare al Manzoni, ma ha una medesima prospettiva: fare dell’uomo Dante un uomo del suo tempo, per potere ragionare con lui, vivere con lui. Infine, da lui prendere un insegnamento per il nostro tempo.

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Francesco Vermigli

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