L’ermeneutica teologica della Trinità di Masaccio. A proposito di un saggio di Rosa Morelli
di Gianni Cioli • L’ermeneutica dell’opera d’arte costituisce per la teologia una sfida affascinante ed un’importante opportunità di dialogo con la cultura non teologica. Rosa Morelli, docente di teologia dogmatica presso la Facoltà teologica dell’Italia meridionale ha affrontato questa sfida in varie occasioni. Può essere interessante rileggere il suo piccolo ma denso saggio, pubblicato alcuni anni fa, Teologia delle icone e la Trinità di Masaccio. Ipotesi di lettura per una teologia della visione, (Edizioni Segno, Tavagnacco Udine 2008). Il saggio, introdotto da una prefazione di Claudia Picazio e completato da una postfazione di Bruno Forte, si articola in due parti ben distinte.
La seconda parte, La Trinità di Masaccio: una lettura teologica, è quella più interessante e al contempo più problematica perché costituisce un concreto modello di ermeneutica teologica suscettibile di un confronto con altri modelli. E poiché l’opera in esame è universalmente nota e ampiamente studiata, il confronto può risultare particolarmente trasparente. Le pagine attraverso cui Rosa Morelli rilegge l’affresco masaccesco appaiono per molti versi affascinanti, dense di sapere biblico e teologico e al contempo accessibili ai non addetti ai lavori. Il punto di partenza per la lettura è una riflessione sulla croce come storia trinitaria evocata dalla scena del Padre che sostiene il Figlio crocifisso con al centro la colomba, immagine dello Spirito. Il discorso si sviluppa attraverso la considerazione della posizione dell’uomo di fronte al mistero suscitata dalle figure dei donatori, un uomo e una donna, collocati ai margini della scena, i quali richiamo a loro volta il dramma di Adamo nel quadro della storia della salvezza. Le figure di Maria e di Giovanni, al centro della composizione, riconducono l’interpretazione teologica alla centralità della croce. Proprio le figure dei due dolenti sotto la croce inducono l’autrice a concludere la lettura del dipinto in chiave ecclesiologia facendo ancora ricorso al tema apocalittico dello Spirito e della Sposa (cf. Ap 22,17).
Nel caso della Trinità di Masaccio, tuttavia, rimango perplesso sulle motivazioni di partenza con cui l’autrice pare voler motivare la sua scelta di metodo in rapporto all’opera in questione: «La Trinità di Santa Maria Novella non è certo un’opera teologica. L’intenzione dell’autore non è quella di consegnarci una teologia trinitaria in immagini. Se di teologia si può parlare questa è “inconsapevole” e perciò più complessa, più impegnativa per chi a quest’affresco si rivolge per tentarne una lettura teologica» (p. 33). Al contrario, ritengo che Masaccio, i suoi committenti e gli eventuali esperti che hanno partecipato al progetto iconografico dell’affresco abbiano inteso offrire un’opera profondamente teologica assemblando, per così dire, e risignificando in un nuovo insieme diversi soggetti iconografici consueti nell’arte medievale, quali il trono della grazia, i dolenti sotto la croce, i donatori e lo scheletro nella fascia inferiore. Proprio lo scheletro, che si presenta come un elemento di particolare impatto emotivo ma che Rosa Morelli pare non considerare affatto, sarebbe a mio avviso un particolare determinante per l’interpretazione teologica dell’insieme. Studi autorevoli vedono nello scheletro una possibile allusione alla figura di Adamo (cf. K. Park, «Masaccio’s Skeleton: Art and Anatomy in Early Reinassance Florence», in R. Goffen (ed.), Masaccio’s Trinity, Cambridge 1998, 119-140), un ipotesi che fra l’altro non contraddirebbe ma confermerebbe il quadro di lettura complessivo proposto dalla Morelli che, come si è accennato, concede un spazio significativo al dramma di Adamo nel quadro della storia della salvezza. Lettura filologica ed ermeneutica di un’opera del passato con le categorie della teologia contemporanea per una teologia della visione non devono necessariamente escludersi a vicenda.