Relativa non relativista, popolare non populista. «Il sogno di una chiesa evangelica. L’ecclesiologia di papa Francesco» di Roberto Repole

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maxresdefaultdi Dario Chiapetti • «Identità “aperta” e “relazionale”». Così il teologo Roberto Repole descrive il tratto fondamentale della concezione della Chiesa nel pensiero dell’attuale vescovo di Roma. Il sogno di una chiesa evangelica. L’ecclesiologia di papa Francesco (LEV, Città del Vaticano 2018, 133 pp.) – testo facente parte di una collana sulla teologia del papa, curata dallo stesso presidente dell’Associazione Teologica Italiana – approfondisce proprio la suddetta espressione mediante la presentazione sistematica, globale e agile al tempo stesso degli aspetti della visione ecclesiologica di Bergoglio.

Dopo aver posto l’attenzione sulla centralità del «primato del Vangelo», che è il Vangelo della Misericordia, che sfugge alle riduzioni ideologiche, che è il solo ad essere capace di incontro e che suscita libera adesione e conversione, l’Autore si concentra sulla presentazione della Chiesa come «popolo di Dio», realtà plurale posta in una realtà plurale e in cui il sensus fidei – nozione ripresa con vigore dal Concilio Ecumenico Vaticano II – riveste grande importanza nella comprensione dello statuto teologico del cammino della Chiesa nel regno di Dio, cammino, pertanto, colto come messianicamente connotato e pneumaticamente informato. Da ciò segue la presentazione della Chiesa come «Chiesa estroversa», che esiste per gli altri, in cui tutti sono «discepoli-missionari», i laici ricoprono un ruolo eminente e in cui la missione innesca sempre una profonda conversione pastorale. L’importanza di quest’ultima porta l’Autore, nella parte conclusiva, a evidenziare come nel pensiero di Francesco la «necessaria riforma» della Chiesa si concentri in modo particolare sull’aspetto dell’attuazione della sinodalità quale nota fondamentale propria dell’ecclesialità.

Di grande interesse, anche per la sua attualità in un discorso politico e sociale e circa la Chiesa in relazione ad esso, è la riflessione su quest’ultima – la Chiesa – come realtà relativa, non relativista – e che quindi denuncia il relativismo, colto nella sua formulazione di tipo teorico e pratico – e quindi come realtà popolare, non populista.

L’immagine dell’Ecclesia de Trinitate che il Vaticano II ha scelto per dire la costituzione ontologica della Chiesa nei suoi aspetti – teologico, misterico, comunionale, relazionale divino-umano – è ben presente – mostra Repole – nel pensiero del papa argentino, secondo il quale a muovere la Chiesa sono il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo in quanto fautori di unità. L’Autore richiama le parole di Bergoglio in cui, allo Spirito Santo che riconduce a Cristo, egli esorta a dire: «Io so […] che tu porti avanti la Chiesa, che tu fai l’unità fra tutti noi […] nella diversità di tutti noi» (cf. p. 25). La Chiesa quale realtà di unità tra il genere umano, unità creata («fai») dalla comunione divina (lo Spirito Santo) è realtà de-centrata in direzione di Dio così come attesta tutto il discorso del documento programmatico Evangelii Gaudium. Essa rivela così proprio quella «identità relazionale»: in definitiva, la sua relatività. Ora, essendo, quella della Chiesa, una relatività al Dio del Vangelo della Misericordia, che in quanto tale è estroversione, essa è anche «aperta». Ecco che la relatività della Chiesa, relatività a Ciò che apre, non è relativismo, relatività, cioè, a un oggetto, un idolo, ciò che arresta la relazione. Ebbene, la denuncia profetica di tale relativismo da parte della Chiesa costituisce un dato magisteriale che accomuna indubitabilmente l’insegnamento di Francesco e quello del suo predecessore. Ma vi è anche una diversità di accentuazione. Osserva Repole: «Benedetto XVI, provenendo dal cuore di un’Europa in crisi di valori e con il sospetto verso ogni prospettiva di verità, ha opportunamente messo l’accento sulla forza anti-evangelica e disumanizzante del relativismo teorico. Francesco, provenendo da un’America Latina in cui è più evidente la disuguaglianza sociale e in cui si è portati a vedere il mondo a partire dai più poveri e dalle vittime, mette oggi in rilievo la portata ugualmente anti-evangelica e disumanizzante del relativismo pratico» (p. 104). Ed esso è – nelle parole di Bergoglio – «un relativismo ancora più pericoloso di quello dottrinale [in quanto] ha a che fare con le scelte più profonde e sincere che determinano una forma di vita. Questo relativismo pratico consiste nell’agire come se Dio non esistesse, decidere come se i poveri non esistessero, sognare come se gli altri non esistessero, lavorare come se quanti non hanno ricevuto l’annuncio non esistessero. È degno di nota il fatto che, persino chi apparentemente dispone di solide convinzioni dottrinali e spirituali, spesso cade in uno stile di vita che porta ad attaccarsi a sicurezze economiche» (EG 80). È così colto il relativismo nella sua radice ed espressione più nascosta e contestualmente a tale aspetto è rivelata la profonda continuità di sviluppo tra i magisteri dei due pontefici.

Ebbene, tale visione anti-relativista è espressione non di colui che aderisce a una data dottrina ma della Chiesa quale realtà popolare: quale, cioè, realtà comunionale divino-umana in cui gli uomini e le donne sono costituiti come popolo di Dio, quale cioè pluriunità relativa al Dio del Vangelo della Misericordia. Ora, l’Autore prosegue considerando come sia proprio della realtà popolare quella di essere una pluriunità tra soggetti distinti, come ha affermato Francesco in un’intervista a Antonio Spadaro: «pastori e popolo insieme» (cf. p. 61). Se a ciò si aggiunge con l’Autore che Francesco dà forte sottolineatura del valore della singola persona nel suo cammino di santità e rifiuta di considerare soggetti dell’evangelizzazione solo alcuni operatori qualificati che agiscono in nome di tutti, possiamo concludere – sempre con Repole – che è squalificata ogni concezione «populista» della Chiesa come di ogni altra realtà. Francesco – scrive l’Autore – prende «inequivocabilmente le distanze dal ritenere popolo di Dio un soggetto ecclesiale a discapito o, peggio, in contrapposizione ad altri» (p. 60). E vi è un antidoto al populismo (e al relativismo, quale – come velocemente visto – sua radice). Esso è proprio il “terzo” tra gli uomini: Dio, Dio come Dio-nella-relazione. È, infine, così che Bergoglio può presentare la Chiesa, relativa e popolare, come «fraternità mistica» (cf. EG 92): «una fraternità possibile – commenta Repole – solo sulla base di uno sguardo all’altro che implichi l’apertura all’alterità di Dio e a Dio in quanto rinvia costantemente al fratello» (p. 62). È nell’inverarsi in tale fraternità che la Chiesa attua sé e, esattamente, come precisa sua posizione nel mondo che la attua con esso come regno.

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Dario Chiapetti

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