La politica ed il gelido inverno demografico

600 400 Antonio Lovascio
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rapporto-istatdi Antonio Lovascio • Forse l’ISTAT ha fatto scoprire alla politica ed ai giornali che il nostro Paese sta realmente vivendo l’inverno demografico più gelido della sua storia: per il terzo anno consecutivo ulteriore calo della popolazione di centomila unità (i residenti al 1° gennaio 2018 sono scesi a 60 milioni 494 mila), crollo dei matrimoni, costante aumento della denatalità (dal 1977 sei milioni di nati in meno), eccedenza dei morti sui nati (183 mila), forte incremento della popolazione anziana con dell’età media che si è attestata sui 45 anni. E ora incombono conseguenze gravi per il sistema produttivo e per il cosiddetto welfare ( per intenderci Pensioni e Sanità) quando verranno meno le risorse necessarie per mantenere la qualità della vita in un contesto sociale sempre più ‘maturo’.

Questi sono i preoccupanti tratti di una “emergenza” che il mondo cattolico – da Papa Francesco alla CEI e al Forum delle famiglie – sta evidenziando da tempo, senza essere ascoltato quando denuncia che la nostra società privilegia la quotidianità e la transitorietà, è priva di valori e credenze permanenti; che il matrimonio è divenuto contratto, quando non anche fantasia creativa, e il dono scambio.

L’anno scorso sono venuti al mondo 464mila bambini, il 2% in meno rispetto al 2016 quando se ne contarono 473mila. Risulta battuto, pertanto, il precedente record di minimo storico dall’Unità d’Italia. Per trovare un surplus così marcato di decessi sulle nascite bisogna risalire agli inizi del secolo scorso: nel 1917, allorché il deficit fu di 255mila unità, e nel 1918, quando si arrivò a 648mila. Ma se allora furono, rispettivamente, la Grande Guerra e l’epidemia di ‘spagnola’ a favorire un siffatto triste primato, quale sarebbe oggi la giustificazione di un crollo di vitalità come è quello cui stiamo assistendo e che dal 2008 si accentua anno dopo anno?

Non c’è dubbio che dietro al nuovo primato di bassa natalità (i 464mila neonati del 2017) vi siano i molteplici ostacoli – dal ‘costo’ dei figli, alla carenza di strutture per la loro cura e crescita, alle difficoltà di conciliare maternità e lavoro, sino alla stessa mancanza di una cultura antropologica aperta a sostenere la famiglia e la procreazione – che da tempo si frappongono e mortificano il desiderio di genitorialità degli italiani. Un desiderio di maternità e paternità che, come ben documentato da numerose indagini affidabili, è però ben superiore alla sua reale manifestazione (gli 1,34 figli in media per coppia che le statistiche ci riportano).

Molte nazioni europee (soprattutto Germania, Francia, Austria) hanno fatto più di noi in chiave economica per le famiglie e forse presto si vedranno i risultati. In Italia il tema è entrato nella campagna elettorale mescolato alle promesse elargite – senza idee ma con tanti tweet e slogan – per acquisire consensi e raccogliere voti con programmi scritti sull’acqua. Fortunatamente il Governo Gentiloni ha avuto il buon senso di stabilizzare il bonus bebé, anche se contemporaneamente è stato previsto il suo dimezzamento nel 2019 e nel 2020, passando da 80 a 40 Euro mensili. Inoltre il bonus non sarà più erogato per i primi tre anni di vita, ma è stato circoscritto al solo primo anno.

Insomma le misure per affrontare il fenomeno della denatalità, anziché essere di lungo periodo, consistenti e permanenti, si presentano ancora marginali e non strutturali. Davvero non si riesce a convincere chi ha responsabilità governative e parlamentari che l’emergenza demografica è una priorità strategica per la sostenibilità complessiva del Paese, e che il trend demografico negativo va contrastato con interventi drastici, non con modesti stanziamenti che sanno di “consolazione”. Una priorità come la difesa – sacrosanta! – dei posti di lavoro. Negli ultimi anni abbiamo avuto, con risultati alterni, decise strategie di intervento pubblico per proteggere settori economici in crisi: quante risorse pubbliche per l’Alitalia, per le varie ILVA, e perfino per le banche! La famiglia e le culle vuote non hanno invece mai rappresentato una priorità assoluta. E raramente, questa, è entrata come tale nell’agenda dei partiti, che continuano a considerarla solo una questione privata dei cittadini. Una politica miope, che non vede nemmeno nel medio periodo, è una politica incapace di costruire il futuro del sistema-Italia. Checchè si cerchi di far credere nei “talk show”.

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Antonio Lovascio

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