di Carlo Parenti •Mi hanno profondamente colpito una serie di notizie relative ai ferrei limiti imposti dai padroni del mondo digitale (computer, software, internet) ai loro giovani figli.
Nonostante sia il fondatore di Microsoft e il suo impero multimiliardario si regga proprio sulla tecnologia, Bill Gates è molto rigido con i propri figli per quanto riguarda l’uso di computer, tablet e smartphone. In un’intervista rilasciata il 21 aprile 2017 al Mirror ha ammesso di aver istituito una serie di regole ferree per la sua prole, Jennifer, di 20 anni, Rory, 17, e Phoebe, 14: schermi spenti prima di andare a letto, ad esempio, e vietato utilizzarli a tavola. Inoltre papà Gates è convinto che si possa iniziare ad utilizzare un proprio cellulare a partire dai 14 anni e mai prima di quell’età (Oggi l’età media di un bambino che riceve il primo telefono è 10 anni).
“Spesso fissiamo un orario oltre il quale telefoni, tv e pc devono essere spenti: nel loro caso questo li aiuta ad andare a dormire ad un’ora ragionevole – afferma -. Non portiamo mai i cellulari a tavola quando mangiano e non abbiamo permesso loro di utilizzarli prima dei 14 anni, nonostante si siano sempre lamentati di non essere ‘al passo’ con gli altri compagni“.
Gates non è l’unico gigante della tecnologia a impedire ai propri figli un uso smodato della stessa. Anche Steve Jobs aveva ammesso in un’intervista del 2010 al New York Times di non aver ancora consentito ai suoi figli di accedere ad un iPad: “Limitiamo l’uso della tecnologia in casa“, aveva affermato. Chi meglio del fondatore di Microsoft e del fondatore di Apple può avere ben presenti i rischi collegati alla dipendenza da schermo? Steve Jobs ha costruito il suo inestimabile impero tecnologico attraverso la creazione di iPod, iPad e iPhone ormai usati in (quasi) tutto il mondo. Quando gli venne chiesto cosa pensassero i figli del nuovo dispositivo, la risposta di Steve Jobs arrivò lapidaria: “Non lo conoscono. Dobbiamo limitare l’uso della tecnologia dentro casa da parte dei nostri bambini”.
L’immaginario collettivo pensava alla casa di Jobs come al paradiso della tecnologia, caratterizzato da grandi schermi e dispositivi di ogni sorta. Ma non era nemmeno lontanamente così, spiegò Steve Jobs al New York Times. Proprio lui, il guru della tecnologia, non aveva circondato i figli dei suoi strumenti, come invece sono soliti fare i genitori di oggi. Forse perché gli addetti ai lavori sanno qualcosa che noi non sappiamo. La risposta, secondo un crescente numero di prove, è il potere di creare dipendenza della tecnologia digitale.
Gli psicologi stanno rapidamente imparando quanto possano essere pericolosi gli smartphone per i cervelli degli adolescenti. Una ricerca ha scoperto che il rischio di depressione per un bambino di terza elementare aumenta del 27% quando usa frequentemente i social network. I bambini che usano i loro telefoni per almeno tre ore al giorno hanno molte più probabilità di tentare il suicidio. E un’altra ricerca ha rilevato che il tasso di suicidi tra gli adolescenti negli Stati Uniti ora eclissa il tasso di omicidi, con gli smartphone come forza trainante. Joe Clement e Matt Miles sono coautori del libro “Screen Schooled”. Secondo questi due esperti insegnanti un uso eccessivo della tecnologia sta rendendo i nostri bambini più stupidi.
L’approccio protettivo nei confronti dei bambini e del dominio della tecnologia è molto comune tra le personalità che, su quelle stesse tecnologie, hanno costruito la loro fortuna. Dello stesso avviso è infatti Chris Anderson, ex direttore del magazine Wired e coofondatore di Robotica 3D: “Conosco i pericoli della tecnologia, li ho vissuti sulla mia pelle e non voglio che accada lo stesso ai miei figli“.
Anche Evan Williams, fondatore nel 2006 di Twitter, e sua moglie Sara Williams hanno circondato i figli di libri e non di tecnologia. Ma da cosa deriva il limite imposto ai bambini nell’uso della tecnologia? Ovviamente dall’età. I bambini al di sotto dei 10 anni, infatti, sono particolarmente sensibili alla dipendenza, ed è dunque compito dei genitori controllare che non usino eccessivamente dispositivi mobili. Perché permettere a un bambino di sacrificare tutto il tempo che ha a disposizione davanti allo schermo di un pc, magari girovagando tra i social network, togliendogli la possibilità di scoprire la bellezza che si nasconde dietro alla lettura di un libro, dentro il suono di un pianoforte o nell’espressione di un dono artistico?
Evan Williams è anche molto critico verso Internet. Leggere, sul New York Times del 20 maggio 2017, il suo sfogo fa impressione: perché l’intuizione viene posta in termini espliciti, con poche possibilità di fraintendimento. “Internet non funziona più”. Williams ne è convinto da anni (e per questo ha fondato nel 2012 Medium, piattaforma minimalista e «controcorrente». Solo parole, pochissime immagini: nell’era di Instagram e Snapchat) ), ma ”le cose continuano a peggiorare”. Facebook usata per trasmettere omicidi; Twitter in preda a orde di troll; la diffusione di «fake news» con modalità e rapidità inedite. “Un tempo pensavo che, se avessimo dato a tutti la possibilità di esprimersi liberamente e scambiarsi idee e informazioni, il mondo sarebbe diventato automaticamente un posto migliore. Mi sbagliavo. Internet premia gli estremi. Se vedi un incidente mentre stai guidando, ovviamente lo osservi: e tutti, intorno a te, lo fanno. Internet interpreta un comportamento simile come il fatto che tutti vogliano vedere incidenti: e fa in modo che gli vengano forniti. Il problema è che non tutti siamo persone perbene. Gli umani sono umani. Non è un caso che sulle porte delle nostre case ci siano serrature. E invece, Internet è iniziato senza pensare che avremmo dovuto replicare questo schema, online». Immense sono le implicazioni –anche politiche- di questi pensieri. Aggiunge Williams: “La Silicon Valley si percepisce come Prometeo, che ha rubato il fuoco agli dèi e lo ha consegnato ai mortali. Quel che tendiamo a dimenticare è che Zeus se la prese così tanto con Prometeo che lo incatenò a una roccia, così che gli uccelli potessero mangiarne le viscere in eterno. Qualcuno potrebbe ora dire che è quello che ci meriteremmo, per aver consegnato a Trump il potere dei tweet».