di Leonardo Salutati • Più di 50 anni fa, nel 1965, il Concilio Vaticano II qualificò come «delitto contro Dio e contro la stessa umanità» da condannare «con fermezza e senza esitazione», anche in caso di legittima difesa, «ogni atto di guerra, che mira indiscriminatamente alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti» (GS 80), riprovando senza equivoci l’impiego di armi di distruzione di massa, quali sono quelle nucleari.
All’epoca però si pose anche la questione sulla liceità del loro possesso a fine dissuasivo. Gli attori internazionali ritenevano infatti che la solidità della difesa di ciascuna parte dipendesse dalla possibilità fulminea di rappresaglie, giustificando l’accumulo di armi atomiche nella convinzione, paradossale, di «dissuadere eventuali avversari dal compiere atti di guerra», nonché di avere individuato «il mezzo più efficace per assicurare (…) una certa pace tra le nazioni» (cf. GS 81).
Durante il lavori del Concilio Vaticano II, i vescovi nordamericani, accendendo il dibattito tra i Padri conciliari, si opposero ad una dichiarazione di immoralità del possesso di armi di dissuasione nucleari, ritenendo che tale giudizio potesse influire soltanto in ambito occidentale a scapito di un equilibrio geopolitico. Alla fine fu trovato un compromesso nell’esprimere una provvisoria tolleranza circa il possesso di tali armi, pur nella convinzione esplicita che «la corsa agli armamenti (…) non è una via sicura per conservare saldamente la pace, né il cosiddetto equilibrio che ne risulta può essere considerato pace vera e stabile. Anziché guarire veramente, nel profondo, i dissensi tra i popoli, si finisce per contagiare anche altre parti del mondo», per cui «nuove strade converrà cercare partendo dalla riforma degli spiriti, perché possa essere rimosso questo scandalo e al mondo, liberato dall’ansietà che l’opprime, possa essere restituita una pace vera» (ibid.).
Nel 1982, nell’ambito delle controversie sugli euromissili, memore della promessa espressa l’anno precedente ad Hiroshima di adoprarsi «infaticabilmente per il disarmo e l’abolizione di tutte le armi nucleari», Giovanni Paolo II tornò di nuovo sull’argomento per ribadire che, se nel contesto dell’epoca è ancora tollerabile e dunque «moralmente accettabile» la via della dissuasione, «tuttavia, per assicurare la pace, è indispensabile non accontentarsi di un minimo sempre minacciato da un reale pericolo di esplosione».
Con la fine della guerra fredda lo scenario mondiale è cambiato radicalmente e l’opinione pubblica mondiale si è coalizzata intorno alla speranza di bandire le armi atomiche come è poi successo per quelle biologiche. La Santa sede attraverso le parole dell’Osservatore all’ONU Martino, ha confermato la condanna dell’arma nucleare sottolineando che: «L’idea che la strategia di dissuasione nucleare sia essenziale per la sicurezza di una nazione è l’ipotesi più pericolosa che ci proviene dal passato. Mantenere la dissuasione nucleare fino al XXI secolo ostacolerà la pace più di quanto non possa promuoverla… È un ostacolo fondamentale all’avvento di una nuova era di sicurezza globale» (1993). Questa valutazione sarà ribadita più volte dalla diplomazia vaticana fino all’esplicita dichiarazione dell’Osservatore Onu, Migliore, che: «la dissuasione nucleare diventa sempre più insostenibile, anche se è esercitata nel nome della sicurezza collettiva» (2005), confermata poco dopo da Benedetto XVI che esprimerà la condanna dell’idea che uno stato possa fondare la sua sicurezza sul possesso di armamenti nucleari, in quanto: «In una guerra nucleare non vi sarebbero, infatti, dei vincitori, ma solo delle vittime» (2006).
A queste valutazioni si aggiunge inoltre il carattere discriminatorio del Trattato di Non Proliferazione delle armi nucleari che, distinguendo tra stati che hanno il diritto di possedere armi nucleari ed altri che non lo hanno, sancisce il predominio dei primi, per molti aspetti iniquo, che potrà essere superato soltanto con la proibizione globale al possesso di tali armi (Martino 1993).
Alla luce di tutto questo emerge la grande responsabilità per la costruzione della pace dei paesi possessori di armi nucleari, i quali non possono agire soltanto in funzione della, pur legittima, difesa degli interessi e della sicurezza nazionale senza però considerare le esigenze del bene comune universale (GS 68), che si presentano sempre più evidenti ed urgenti.
Per questo la Dottrina sociale della Chiesa reclama oggi con determinazione l’eliminazione delle armi nucleari condannandone il possesso (Documento, Simposio novembre 2017), in quanto non è moralmente accettabile che gli interessi nazionali, per di più di un numero ristretto di paesi, possano prevalere sul bene comune dell’intera famiglia umana (GS 26).
Papa Francesco, rivolgendosi ai premi Nobel per la pace riuniti in simposio in Vaticano sul tema: Prospettive per un mondo libero dalle armi nucleari e per un disarmo integrale, supera definitivamente il compromesso del Vaticano II affermando: «…anche considerando il rischio di una detonazione accidentale di tali armi per un errore di qualsiasi genere, è da condannare con fermezza la minaccia del loro uso, nonché il loro stesso possesso, proprio perché la loro esistenza è funzionale a una logica di paura che non riguarda solo le parti in conflitto, ma l’intero genere umano» (Francesco, novembre 2017).