di Antonio Lovascio · Il divieto di ingresso in Russia al presidente del Parlamento Europeo David Sassoli, alla vice presidente per i valori e la trasparenza della Commissione Vera Jourova e ad altri sei funzionari Ue. La “spy-story” sull’asse Mosca-Roma, con l’espulsione di diplomatici e militari dell’ambasciata nella nostra capitale, sono state solo le ultime avvisaglie, servite ad alzare la soglia di attenzione in Italia e in Europa. Ma i segnali che ci troviamo sull’orlo – se non già dentro – di una nuova “Guerra Fredda” erano già stati fin troppo evidenti. Dalle polemiche sul caso del dissidente Navalny (gravissimo in carcere) e la continua violazione dei diritti umani da parte di Putin, un “killer” nella definizione del neopresidente americano Biden; al tentativo di rivoluzione colorata in Bielorussia. Passando per le sanzioni economiche annunciate dagli USA contro Russia e Cina fino ad arrivare al recente riaccendersi della tensione militare in Donbass con l’Ucraina utilizzata come carne da cannone.
Papa Francesco è preoccupato per questa “escalation” mentre tutto il mondo soffre la tragedia del Covid. Ed ha affidato al suo Segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, il compito di seguire i “dossier” su tutti i “teatri“ dove si manifestano conflitti, ricordando che “è una grande sfida mantenere l’equilibrio della pace”. Per questo il Vaticano sollecita le Grandi Potenze al dialogo. Dialogo – è in sintesi il pensiero di Bergoglio – non significa che si finisce con un compromesso, mezza torta a te e l’altra mezza a me: questo è quello che è accaduto a Yalta e abbiamo visto i risultati. “ No, dialogo significa camminare insieme”. Non minacciare gli altri di ricorrere addirittura, per far prevalere i propri interessi commerciali e geopolitici, all’uso della forza nucleare.
Sappiamo quanrto l’esito disastroso delle avventure militari in Afghanistan e in Iraq abbia lasciato il segno negli USA. Joe Biden sta delineando la nuova politica estera americana del dopo Trump. Mano tesa agli alleati occidentali, a partire dalla Germania e dall’Italia, e “linea dura contro i regimi autoritari”, come Russia e Cina, che
hanno sempre più accentuato le loro mire espansionistiche. Putin, benché abbia gravi problemi interni, ha ripreso a giocare – spesso affiancato dalla Turchia di Erdogan il “dittatore”, secondo Draghi – un ruolo importante, invasivo in Medio Oriente, nello Yemen, in Libia e nel Mediterraneo, senza riuscire a fermare i flussi migratori; senza muovere un dito contro il terrorismo islamico, ancora devastante in Iraq, Siria, Pakistan, in Nigeria e negli gli stati dell’Africa subsahariana. Mentre Pechino si è affermata come gigante economico con notevoli ambizioni militari e spaziali, e ora tenta di allargare il suo orizzonte marino con azioni di prepotenza, minacciando al contempo l’indipendenza di Taiwan. Tutto ciò preoccupa Washington, che cerca di coinvolgere in queste dispute la Nato, la quale purtroppo ogni giorno scopre il protagonismo ambiguo e pericoloso del suo “tallone d’Achille”, Ankara appunto.
E’ una nuova fase di competizione tra i tre Grandi. Una situazione indubbiamente esplosiva, che giustamente preoccupa il Vaticano. Anche perché le conseguenze della pandemia di Covid-19, nonostante il tanto atteso arrivo del vaccino, si protrarranno a lungo sull’economia e la sanità mondiale, il che non farà che accentuare le crisi migratorie, alimentari, energetiche e climatiche che minacciano gli equilibri politici e militari del pianeta già da decenni. Per questo Papa Francesco, oltre che invocare la fine di questa “guerra combattuta a pezzi”, non si stanca di indicare “la cultura della cura come percorso di pace”. Si rivolge a Capi di Stato e spirituali di ogni religione, ai fedeli di buona volontà e, ovviamente, alle istituzioni internazionali perché venga abbracciato dall’intera umanità uno spirito di fratellanza che prenda il concetto di “cura” come spinta alla cancellazione delle disuguaglianze civili, economiche, sanitarie. È fondamentale, secondo Bergoglio, che tutto il mondo non sprechi l’occasione di dimostrare che per qualsiasi Stato è doveroso il rispetto dei diritti umani, che “misure adeguate garantiscano a tutti l’accesso ai vaccini” e che gli investimenti sulle armi vengano riconvertiti in risorse “per eliminare definitivamente la fame e contribuire allo sviluppo”.