Igino Giordani. Un cristiano «ingenuo»
di Andrea Drigani · Igino Giordani (1894-1980) si definiva un cristiano «ingenuo», intendendo quest’ultimo termine nel suo significato etimologico, proveniente dal diritto romano, cioè di un uomo nato libero, ma libero, precisava, della libertà dei figli di Dio.
Di Igino Giordani scrittore, giornalista, parlamentare, bibliotecario, del quale è in corso la causa di beatificazione, è uscita in questi giorni, per i tipi di Città Nuova Editrice, una biografia di Alberto Lo Presti, con la prefazione di Sergio Mattarella, che vuole riproporre all’attenzione la figura di quest’uomo, collaboratore di don Sturzo, spina nel fianco di Mussolini, confidente di De Gasperi, amico di Paolo VI, cofondatore del Movimento dei Focolari.
Scrive il Presidente Mattarella: «Per Giordani la fede era una porta spalancata sulla verità e sulla libertà dell’uomo. Una fede esigente, e tuttavia non integralista, non ostile all’incontro, alla ricerca del bene comune, all’affermazione del metodo democratico, all’impegno il più possibile corale, comunitario per ridurre le diseguaglianze e far crescere la fraternità».
Il volume di Lo Presti è da segnalarsi anche per l’apparato critico, che ricorre a fonti edite e inedite, con note bibliografiche e archivistiche, testimonianze famigliari e con l’elenco cronologico completo dei libri di Giordani nonchè dei suoi carteggi.
Su questa ampia, documentata e avvincente biografia, vorrei soffermarmi, in particolare, su due periodi: la partecipazione di Igino Giordani alla prima guerra mondiale (1914-1920) e il suo impegno politico sotto il fascismo (1920-1927).
Nel giugno 1916 il sottotenente Igino Giordani è destinato sull’altopiano di Asiago, partecipando ad un’impresa, a dir poco disperata, in quanto doveva arrivare, con il suo plotone, sotto alla trincea degli austriaci per collocare un esplosivo, nell’intento di aprire un varco, e rientrare poi alla base. Tutto questo sotto il tiro dei soldati austriaci, che annientò quasi del tutto il plotone italiano. Giordani, che si era gettato per primo verso l’obiettivo, cadde sotto i colpi dei cecchini nemici. Fu ferito alla mano destra con la perdita della funzionalità di tre dita, e al femore destro, spappolato per dieci centimetri. La gamba gli rimase più corta della sinistra e la flessione del ginocchio fu parzialmente perduta. Fu decorato per questo episodio della medaglia d’argento al valor militare.
Nel 1919 rientrando a casa dopo le degenze ospedaliere e diversi interventi chirurgici, diede alla stampe un poemetto «I volti dei morti» nel quale, in 788 endecasillabi, presentava i suoi ricordi e le sue considerazioni sulla tragica esperienza vissuta in trincea nel fango, nel gelo e con una miriade di morti.
L’attività politica di Giordani tra il 1920 e il 1927 fu caratterizzata da un grande rapporto personale e culturale con don Luigi Sturzo che lo volle capo ufficio stampa del Partito Popolare Italiano, incarico che Giordani svolse al meglio di se, in un confronto duro, serrato e polemico col fascismo, che riteneva un sistema neopagano, basato su principi inneggianti alla violenza, all’odio e al libertinaggio, lusingando, purtroppo, le masse cattoliche con l’inganno di una presunta compatibilità con la concezione cristiana della giustizia.
Nel giugno del 1925, era già avvenuto il delitto Matteotti, Igino Giordani, assieme ad altri tra i quali Mario Scelba, promosse la rivista «Parte Guelfa» che ebbe vita breve e chiuse le pubblicazioni perché, come venne comunicato, era lontana dalle direttive e dalle istruzioni della Santa Sede. Igino Giordani subì ritorsioni, processi e persecuzioni, fu espulso dall’associazione dei giornalisti, venne cancellato dalle liste elettorali, fu respinta la sua domanda di accedere alla libera docenza universitaria in letteratura cristiana antica.
Igino Giordani si trovò, in gravi ristrettezze economiche, dovendo provvedere anche alla moglie e ai figli, ma attraverso il sostegno del cardinale Evaristo Lucidi, che lo conosceva e lo stimava, fu assunto alla Biblioteca Apostolica Vaticana, svolgendo compiti rilevanti per l’ammodernamento della catalogazione.
Mi piace concludere su questo «prode e tenace combattente, la cui coerenza poggiava sulla coscienza religiosa», come scrive Lo Presti, con un frase del suo testamento, redatto l’8 marzo 1980, «I miei figli, tutti, saranno eredi tanto dei beni materiali, quanto dei beni spirituali e intellettuali. Lascio loro una ricchezza infinita: la Santa Eucarestia in cui, dopo morti, saremo legati in unità come prima».