Concilio e Chiesa in Hans Küng

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di Alessandro Clemenzia · All’età di 93 anni, nella sua abitazione di Tubinga, è morto Hans Küng, uno degli intellettuali che ha occupato più pagine nei numerosi dibattiti in ambito ecclesiale, divenendo lo stesso suo pensiero “oggetto” di riflessione e di discernimento da parte della Chiesa. Tanti sono i temi da lui affrontati: dall’ermeneutica del Vaticano II all’infallibilità del Romano Pontefice, dal dialogo interreligioso alla questione della ministerialità della Chiesa. Lo stesso rapporto tra Teologia e Magistero ha conosciuto con Küng una stagione di particolare opposizione.

Tra i suoi testi, usciti dopo il Concilio Vaticano II, si possono menzionare “La Chiesa”, che fu messo sotto inchiesta dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, “Strutture della Chiesa” e “Infallibile?”, volume quest’ultimo uscito in occasione del primo centenario della costituzione conciliare Pastor Aeternus. I suoi scritti hanno generato una forte obiezione; basti ricordare che la Congregazione per la Dottrina della Fede, nella persona del suo prefetto il cardinale Franjo Šeper, gli revocò la missio canonica per l’insegnamento della teologia.

Dei tanti temi, è bene concentrarsi maggiormente su quello della sinodalità, di grande attualità per la riflessione ecclesiologica odierna, tanto che Papa Francesco – come ha affermato nella Commemorazione del 50° anniversario dell’Istituzione del Sinodo dei Vescovi – l’ha descritta come ciò che «Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio», e come «dimensione costitutiva della Chiesa».

Il documento della Commissione Teologica Internazionale, intitolato La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa (2 marzo 2018), scrive: «Il greco σύνoδος viene tradotto in latino con sýnodus conciliumConcilium, nell’uso profano, indica un’assemblea convocata dalla legittima autorità. Benché le radici di “sinodo” e di “concilio” siano diverse, il significato è convergente. Anzi, “concilio” arricchisce il contenuto semantico di “sinodo” richiamando l’ebraico קָהָל – (qahal) l’assemblea convocata dal Signore – e la sua traduzione nel greco ἐκκλησία, che designa nel Nuovo Testamento la convocazione escatologica del Popolo di Dio in Cristo Gesù» (n. 4). In questa citazione emergono almeno due elementi rilevanti: 1) Sinodo e concilio sono parole distinte ma possiedono un significato convergente. 2) Concilio arricchisce il termine “sinodo” richiamando l’assemblea convocata dal Signore (ἐκκλησία). Dunque, secondo questo documento, concilium coincide con ἐκκλησία. Tale affermazione (anche se non vi è alcun esplicito riferimento bibliografico) si inserisce in realtà all’interno di un dibattito ecclesiologico molto acceso, iniziato già negli anni ’60, tra Hans Küng e Joseph Ratzinger.

Küng, nel suo testo “Strutture della Chiesa” (1965), dopo aver specificato il rapporto tra sinodo e concilio, sottolinea la relazione tra concilio e Chiesa, a partire dalla loro etimologia: «Qui non sarà inopportuno notare che parole concilium ed ecclesia hanno, dal punto di vista glottologico, la stessa radice; e non si tratta di una coincidenza esteriore. Con-cilium viene da con-kalium, ovvero sia da con-calare, dove calare è un termine tecnico religioso che significa “chiamare”. Concilium vuol dire dunque “convocazione, assemblea”. […] Il latino calo è infatti l’equivalente del greco καλῶ, che tante volte ricorre nei Vangeli nel semplice senso di “chiamare”, ma anche già nei sinottici e soprattutto in Paolo ha preciso significato teologico di “eleggere”. Se noi diamo ora una scorsa al lessico del Nuovo Testamento ed esaminiamo la voce καλῶ, constatiamo quanto segue: il καλῶν, “colui che chiama”, non è altri che Dio» (pp. 23-34).

A questa prospettiva reagisce Joseph Ratzinger nel suo testo “Il nuovo popolo di Dio. Questioni ecclesiologiche” (1969), ribadendo che «l’etimologia è pienamente secondaria; se si vuole sapere che cosa voglia dire la parola “concilium” come parola ecclesiastica, si deve partire dall’impiego e dalla comprensione del linguaggio di coloro che ne hanno fatto appunto una parola ecclesiastica. E si ottiene qui un campo di osservazione di vaste proporzioni. Concilium non è mai, né nella Bibbia latina né nei Padri della Chiesa, traduzione di ἐκκλησία, ma è piuttosto l’equivalente di συνέδριον (Sanhedrin), συναγωγή, σύνoδος» (p. 170). Per questa ragione «il raggio del concilio è decisamente più ristretto che non quello della Chiesa nel suo insieme. […] il concilio è συνέδριον, non ἐκκλησία. Si tratta di due forme di assemblea, diverse qualitativamente» (p. 174).

Le due impostazioni sono radicalmente differenti e, come ci si può facilmente rendere conto, hanno delle implicazioni ecclesiologiche altrettanto eterogenee tra loro.

Il documento della Commissione Teologica Internazionale, senza menzionare esplicitamente Küng e tantomeno la portata ecclesiologica delle riflessioni post-conciliari, attraverso il recupero etimologico si è inserito all’interno del dibattito, assumendo l’impostazione teologica del teologo svizzero, soprattutto per quanto concerne il rapporto tra concilium ed ἐκκλησία.

A volte sembra non essere necessario citare esplicitamente Küng per renderlo attuale; il suo contributo, volenti o nolenti, continua ad affermarsi nell’oggi della riflessione ecclesiale.

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