di Francesco Romano • Lo spunto per riflettere sulla vita della Chiesa ci viene offerto ancora una volta dalla omelia pronunciata da Papa Francesco nella Messa di venerdì dell’ottava di Pasqua sulla situazione inusuale ed eccezionale con cui oggi i fedeli non possono partecipare alle celebrazioni liturgiche nel tentativo di contenere la diffusione del coronavirus.
Il Papa ha presentato la questione con queste parole: “È una situazione difficile in cui i fedeli non possono partecipare alle celebrazioni e possono fare solo la Comunione spirituale. Dobbiamo uscire dal tunnel per tornare insieme, perché questa non è la Chiesa. Che il Signore ci insegni questa familiarità con i sacramenti e col santo Popolo di Dio”.
A questo proposito il Papa cita le parole che un Vescovo gli ha rivolto: “Stia attento a non viralizzare la Chiesa, a non viralizzare i Sacramenti, a non viralizzare il Popolo di Dio”.
In effetti i Sacramenti sono il centro delle azioni liturgiche, sono azioni di Cristo e della Chiesa, sono segni e mezzi con cui “la fede viene espressa e irrobustita, si rende culto a Dio e si compie la santificazione degli uomini” (can. 840). Per questo i Sacramenti sono la continuazione dell’ufficio sacerdotale di Cristo che si compie attraverso la Chiesa. Per loro natura sono di carattere comunitario e, nel limite del possibile, richiedono la partecipazione dei fedeli (can. 837 §2).
Questo sintetico inquadramento ci fa comprendere che non esiste emergenza che possa sospendere la vita reale della Chiesa, che non esiste pandemia che possa “viralizzare” la sua azione salvifica con il conseguente pericolo di dare spazio al relativismo o all’indifferentismo fino ad appiattire la sua vita ordinaria su situazioni eccezionali. Infatti, già alcuni non esitano a dire apertamente e con entusiasmo che la soluzione alternativa offerta dell’uso dei social per seguire le celebrazioni da casa sia una “comodità” perché per rivolgersi a Dio o per pregare, a loro dire, non c’è bisogno di andare in chiesa. Il Papa ha messo in guardia da questa Chiesa “viralizzata”, con Sacramenti e Popolo di Dio “viralizzati”, perché nella Chiesa la realtà virtuale non esiste, Cristo è realmente e non virtualmente morto sulla croce. Tutto questo conduce allo gnosticismo, cioè alla fine della Chiesa.
Il fine della Chiesa corrisponde alla sua missione salvifica ricevuta dal Signore, messa in grado di produrre con efficacia il suo effetto perché in essa si prolunga permanentemente e in qualunque circostanza il sacerdozio di Cristo le cui modalità sono sempre concrete e non apparenti, come nella situazione che stiamo vivendo.
L’azione salvifica della Chiesa passa prima di tutto attraverso il sacerdozio gerarchico o ministeriale che mette in grado il sacerdote di agire in persona Christi, ma anche attraverso il sacerdozio comune dei fedeli di cui fa parte l’intero Popolo di Dio, tutti i christifideles, per le funzioni che vengono loro propriamente riconosciute. A questo proposito, il can. 230 §3 così recita: “Dove la necessità della Chiesa lo consigli, in mancanza di ministri, anche i laici, pur senza essere lettori o accoliti, possono compiere alcune delle loro funzioni, esercitare cioè il ministero della parola, presiedere alle preghiere liturgiche, amministrare il battesimo e distribuire la Comunione, secondo le disposizioni del diritto”.
Senza entrare nella distinzione tra ministeri ordinati e ministeri istituti e le rispettive funzioni, qualsiasi fedele laico, sia uomo che donna, può svolgere temporaneamente ministeri liturgici detti “ministeri di supplenza” che non richiedono l’istituzione liturgica, come indicato dal can. 230 §3. Al riguardo, basti ricordare l’amministrazione del battesimo (can. 861 §2); la distribuzione della sacra comunione (can. 910 §2), ma anche l’esposizione e reposizione del SS. Sacramento senza la benedizione eucaristica (can. 934); la predicazione nelle chiese o oratori “in particolari casi o se l’utilità lo consigli” (can. 766); l’assistenza canonica dei laici ai matrimoni su delega del Vescovo, con il consenso della Conferenza Episcopale e la facoltà della Santa Sede (can. 1112 §1); la cura di parrocchie sprovviste di sacerdoti (can. 517 §2); il rito delle esequie senza Messa per designazione della Conferenza Episcopale e con il consenso della Sede Apostolica (Ordo exequiarum, n. 19, 1).
La celebrazione dell’Eucaristia, del sacramento della Confessione e dell’Unzione degli infermi sono prerogative insostituibili del sacerdote, ma dal sacramento del Battesimo deriva l’incorporazione a Cristo e la partecipazione ontologica e funzionale al suo ufficio profetico, sacerdotale e regale, condiviso da tutti i fedeli che li abilita a vivere nel loro modo proprio la missione della Chiesa. Ne sono un esempio, appunto, i “ministeri di supplenza” di cui abbiamo parlato.
È evidente che le risorse salvifiche di cui beneficia la Chiesa sono inesauribili perché le derivano dalla ininterrotta presenza del suo Divino Fondatore che l’accompagna e l’assiste fino alla fine dei tempi.
Nessun fedele, proprio in forza della sua dimensione ontologica per la consacrazione battesimale, è considerato una risorsa superflua nel cooperare efficacemente con i sacri Pastori al fine salvifico della Chiesa. Quanto abbiamo appena detto ne è solo un esempio, ma su questo sarebbe possibile dire ancora di più. Infatti, oltre alle situazioni ordinarie, sono proprio le situazioni straordinarie a rendere evidente come l’azione salvifica della Chiesa non si interrompa mai. Il Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC) ci ricorda che Dio ha legato la salvezza al sacramento del Battesimo, tuttavia egli non è legato ai suoi sacramenti: “Da sempre la Chiesa è fermamente convinta che quanti subiscono la morte a motivo della fede, senza aver ricevuto il Battesimo, vengono battezzati mediante la loro stessa morte per Cristo e con lui. Questo Battesimo di sangue, come pure il desiderio del Battesimo, porta i frutti del Battesimo, anche senza essere sacramento” (CCC, n. 1258). Lo stesso si può dire di colui che muore con il desiderio del Battesimo senza che ci sia nessuno che glielo possa amministrare, oppure perché in quella circostanza manca la materia dell’acqua. In modo particolare “i catecumeni che muoiono prima del Battesimo, il loro desiderio esplicito di riceverlo, unito al pentimento dei propri peccati e alla carità, assicura loro la salvezza che non hanno potuto ricevere mediante il sacramento” (CCC, n. 1259).
Papa Francesco nell’omelia della Messa celebrata lo scorso 20 marzo da Casa Santa Marta ha ricordato l’insegnamento del Catechismo della Chiesa Cattolica riguardo alla possibilità che ha ogni fedele, in assenza della mediazione del sacerdote, di riconciliarsi con Dio con un semplice atto di contrizione per i peccati commessi e il proposito di ricorrere quanto prima alla confessione per ottenere l’assoluzione sacramentale (CCC, n. 1452). Ancora una volta viene in evidenza come ogni emergenza per quanto grave non possa incidere o menomare la funzione salvifica insita nella Chiesa perché essa viene partecipata sempre, benché nei diversi modi, a ogni uomo in quanto membro inscindibile dell’unico Corpo mistico permanentemente santificato dal suo Capo.
Un altro esempio dell’inesauribile funzione salvifica della Chiesa lo troviamo nel sacramento del matrimonio che permane anche quando viene celebrato nella forma straordinaria senza la presenza del ministro assistente (can. 1116), come invece prevede la forma ordinaria che richiede ad validitatem la presenza dell’assistente competente cui spetta chiedere e ricevere il consenso dei contraenti a nome della Chiesa (1108 §§1 e 2). Il matrimonio in genere è un diritto nativo e inalienabile della persona. Il matrimonio sacramento è anche la personale via di salvezza alla quale il fedele è chiamato, e viene disciplinato e tutelato dall’ordinamento giuridico avendo anche una funzione sociale ed ecclesiale, fatto salvo che “tutti possono contrarre matrimonio, se il diritto non ne fa loro divieto” (can. 1058). Tuttavia, il Codice di Diritto Canonico prevede che in determinate circostanze, quando non sia possibile avere la presenza dell’assistente competente e vi sia un imminente pericolo di morte (can. 1116 §1, n.1) oppure quando si prevede che l’impossibilità di adire il ministro competente si protrarrà almeno per un mese (can. 1116 §1, n. 2), il fedele non può essere privato di questo sacramento e il matrimonio può essere celebrato semplicemente con lo scambio del consenso tra i due nubendi alla sola presenza di due testimoni.
Anche in questo caso la forma straordinaria della celebrazione del matrimonio comprova che la funzione salvifica della Chiesa e la sua efficacia non sono soggette a condizionamenti che possano limitare la missione che il Signore le ha dato.
Le modalità con cui la Chiesa opera, anche nelle situazioni eccezionali, sono sempre concrete e producono con efficacia la grazia e la salvezza. Neppure la pandemia virale è in grado di trasformare o sostituire la Chiesa in un villaggio virtuale. Il nuovo Popolo messianico è la Chiesa di Cristo, il suo segno sacramentale; è una realtà umana concreta, strutturata secondo il suo fine che è il Regno di Dio, costituita anche di un elemento divino. Questo Popolo è assunto dal Signore a essere strumento della salvezza di tutti, quale luce del mondo e sale della terra (Lumen Gentium, n. 9).
Il Popolo di Dio, segno visibile della Chiesa, vive e si realizza nell’esercizio delle relazioni che gli sono proprie, in quanto costituito da Cristo per una comunione di vita, di carità e di verità” (LG, 9). Questa è una esigenza da tutelare per evitare il rischio di cadere in una mentalità gnostica come il Papa mette sull’avviso quando nel rispondere all’obiezione di un Vescovo: “Stia attento a non viralizzare la Chiesa, a non viralizzare i Sacramenti, a non viralizzare il Popolo di Dio”, ha spiegato nella sua omelia dello scorso 17 aprile: “La Chiesa, i Sacramenti, il Popolo di Dio sono concreti. È vero che in questo momento dobbiamo fare questa familiarità con il Signore in questo modo, ma per uscire dal tunnel, non per rimanerci. E questa è la familiarità degli Apostoli: non gnostica, non viralizzata, non egoistica per ognuno di loro, ma una familiarità concreta, nel popolo. La familiarità con il Signore nella vita quotidiana, la familiarità con il Signore nei Sacramenti, in mezzo al Popolo di Dio. Loro hanno fatto un cammino di maturità nella familiarità con il Signore: impariamo noi a farlo, pure. Dal primo momento, questi hanno capito che quella familiarità era diversa da quello che immaginavano, e sono arrivati a questo. Sapevano che era il Signore, condividevano tutto: la comunità, i Sacramenti, il Signore, la pace, la festa”.
Dalla Chiesa universale alle Chiese particolari, “nelle quali e dalle quali sussiste la Chiesa cattolica una e unica” (can. 368), alle parrocchie in cui, come le definì il Papa San Paolo VI, “vi è la presenza della Chiesa viva e operante in mezzo al popolo fedele, e, in senso più completo, la presenza di Cristo nella pienezza della sua funzione salvatrice”, la Chiesa di Cristo e il Popolo di Dio sono realtà concrete nell’essere e nell’operare. I doni salvifici sono veri ed efficaci, appartengono alla Chiesa come tale senza disparità alcuna di distribuzione sulla base dell’estensione geografica o della presenza numerica dei fedeli. Come si è espresso Papa Francesco, “in questo momento dobbiamo fare questa familiarità con il Signore in questo modo, ma per uscire dal tunnel, non per rimanerci”.
Il fatto che in questo particolare momento facciamo “familiarità con il Signore in questo modo”, non deve indurre qualche benpensante nell’errore che la vita cristiana, la religione e il culto siano cose aleatorie o virtuali e conseguentemente poter essere subordinate ad altre esigenze viste come primarie di maggiore importanza. Resta fermo il presupposto che “la Chiesa, i Sacramenti, il Popolo di Dio sono concreti” perché la salvezza è una realtà concreta. La santità di un solo membro agisce positivamente sulla santificazione dell’intero Popolo come la santità del Capo santifica il corpo, fino a ogni singolo membro della Chiesa. Dobbiamo uscire dal tunnel, dice il Papa, e in questo cammino della Chiesa, già sperimentato molte altre volte nella sua storia, la santificazione dei christifideles, del Popolo di Dio, non conosce sospensione né forme surrogate di attuazione rispetto all’insegnamento e alla volontà che il Signore ci ha lasciato.