«Facis de necessitate virtutem»

378 500 Andrea Drigani
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Guercino_-_St_Jerome_in_the_Wilderness_-_WGA10950di Andrea Drigani · Questa frase di San Girolamo (347-420), Dottore della Chiesa, è diventata proverbiale in molte lingue, anche in quella italiana: «far di necessità virtù», che normalmente costituisce un invito a fare con buona disposizione d’animo, non controvoglia, ciò che dobbiamo fare obbligatoriamente. Questa espressione, nel tempo di pestilenza che stiamo vivendo, assume un significato più profondo poichè siamo in un oggettivo stato di necessità che, giuridicamente, ha assunto le caratteristiche dello stato d’emergenza, per il quale, onde evitare un contagio letale, si è determinato un temporaneo affievolimento di alcuni diritti tra i quali quello alla libertà di movimento, al lavoro, all’iniziativa economica, all’accesso alla scuola, all’esercizio pubblico del culto. Le autorità statali nello stabilire queste limitazioni, ancorchè provvisorie, si sono basate sulla norma contenuta nell’art. 32 della Costituzione che afferma: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività», nonché sull’art. 2, laddove si dichiara che la Repubblica «richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale». La proclamazione dello stato d’emergenza, e la conseguente parziale compressione di alcuni diritti può creare perplessità in un regime democratico, ma nell’attuale contesto italiano è evidente e ovvio che lo stato di necessità, dovuto alla pandemia del coronavirus, è fondato in modo pieno e veridico. Pertanto l’indicazione di San Girolamo va recepita, con l’osservanza delle norme di sicurezza, per la salvaguardia del diritto fondamentale alla salute e per l’inderogabile solidarietà politica, economica e sociale. Giova ribadire che pure il magistero della Chiesa ha esposto delle precise considerazioni sulla regolazione dei diritti. La Dichiarazione «Dignitatis humanae», citata anche nel Preambolo dell’Accordo concordatario tra la Santa Sede e la Repubblica del 18 febbraio 1984, afferma, al § 7, «Nell’esercizio di tutte le libertà si deve osservare il principio morale della responsabilità personale e sociale: nell’esercitare i propri diritti i singoli esseri umani e i gruppi sociali, in virtù della legge morale, sono tenuti ad avere riguardo tanto ai diritti altrui, quanto ai propri doveri verso gli altri e verso il bene comune». L’indissolubile rapporto fra diritti e doveri nella stessa persona, com’è noto, fu già enunciato da San Giovanni XXIII nell’Enciclica «Pacem in terris» del 1963, rilevando che i diritti e i doveri hanno entrambi nella legge naturale che li conferisce o li impone, la loro radice, il loro alimento, la loro forza indistruttibile. Papa Roncalli notava, ad esempio che il diritto di ogni essere umano all’esistenza è connesso con il suo dovere di conservarsi in vita; il diritto ad un dignitoso tenore di vita, col dovere di vivere dignitosamente; il diritto alla ricerca del vero col dovere di cercare la verità. San Giovanni XXIII concludeva, su questo punto, che coloro i quali, mentre rivendicano i propri diritti, dimenticano o non mettono nel debito rilievo i rispettivi doveri, corrono il pericolo di costruire con una mano e distruggere con l’altra. Nella «Pacem in terris» si reperisce inoltre la definizione di bene comune inteso come l’insieme di quelle condizioni sociali che consentono e favoriscono negli esseri umani lo sviluppo della loro personalità; tale definizione si ritrova, poi, nellasan-tommaso-large_0 Costituzione conciliare «Gaudium et spes» e nella Lettera Apostolica «Octagesima adveniens» di San Paolo VI del 1971. Il principio del bene comune è antico e assai radicato nella tradizione cristiana, San Tommaso d’Aquino (1225-1274) così lo descrive: «Bonum commune est finis singularum personarum in communitate existentium» («Il bene comune è il fine delle singole persone esistenti nella comunità»). Il bene comune è, contemporaneamente, il bene di ciascuno e il bene di tutti. Può darsi che ai nostri giorni, così drammatici e difficili, accettare il bene comune ci appaia pesante e faticoso, raccogliamo allora la raccomandazione del santo Dottore della Chiesa: «Facis de necessitate virtutem».

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