Ancora sulla Pasqua ai tempi del virus

417p-K9DM-Ldi Stefano Tarocchi · Uno dei pochi elementi positivi che ci sono concessi da questi tempi surreali, ossia la lettura, e soprattutto di un testo recente e denso di Romano Penna (Amore sconfinato. Il Nuovo Testamento sul suo sfondo greco ed ebraico libro, San Paolo 2019) –  in particolare di una sezione dedicata alla lettera ai Romani –, ci permette di tornare sul tema della Pasqua.

Ci sono due frasi in parallelo in questa sezione della lettera ai Romani, entrambe con il verbo «morì» al termine (in questo modo esso è reso l’elemento centrale del ragionamento): Cristo «morì per gli empi», «morì per noi». Paolo parla addirittura del «tempo stabilito», quasi alludendo alla «pienezza dei tempi dei tempi» di cui parla altrove, a proposito della nascita di Gesù (Gal 4,4).

Di fatto l’apostolo muove dall’affermazione che nel momento in cui eravamo ancora “deboli”, ossia incapaci di poter fare da soli a salvarci, avvolti nella nostra incapacità – elemento questo di grande attualità! – , Gesù Cristo è morto per noi. Ma il punto fondamentale consiste nel fatto che Egli è morto per gli empi e per i peccatori, proprio nel momento in cui la condizione umana veniva a trovarsi senza rimedio alcuno: «Egli morì per noi … nel tempo in cui eravamo ancora peccatori, ossia quando non c’era in noi nulla che fosse degno di amore, neppure un atto di pentimento» (R. Penna).

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Già in precedenza l’apostolo aveva affermato che la morte di Gesù aveva preso il posto dello strumento usato nel giorno dell’espiazione: il “propiziatorio”, ossia il coperchio dell’arca dell’alleanza, asperso con il sangue una volta all’anno dal sommo sacerdote (Rom 3,25). Un particolare degno di nota: dopo che l’arca andò perduta al tempo della caduta di Gerusalemme (587 a.C.) il sommo sacerdote, di fatto, aspergeva il pavimento. Quindi siamo stati riconciliati con Dio quando eravamo suoi nemici, totalmente immeritevoli della sua misericordia.

Tutto questo richiama la confessione di fede della prima Lettera ai Corinzi: «Cristo morì per i nostri peccati» (1 Cor 15,3): ossia non a causa dei nostri peccati, ma per cancellare i nostri peccati.

Del resto, Paolo aveva esordito così nella stessa sezione: «giustificati [lett. “resi giusti”] dunque per fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. Per mezzo di lui abbiamo anche, mediante la fede, l’accesso a questa grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo, saldi nella speranza della gloria di Dio. E non solo: ci vantiamo anche nelle tribolazioni, sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza. La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rom 5,1-5).

E questo ancora una volta ci conduce alla fede, quella di Abramo nella fattispecie: «ecco perché gli fu accreditato [= ad Abramo] come giustizia. E non soltanto per lui è stato scritto che gli fu accreditato, ma anche per noi, ai quali deve essere accreditato: a noi che crediamo in colui che ha risuscitato dai morti Gesù nostro Signore, il quale è stato consegnato alla morte a causa delle nostre colpe ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione».

Dunque, nel richiamo alla morte scandalosa di Cristo, sta anche la premessa straordinariamente adatta a leggere i segni di questi tempi: «ci vantiamo anche nelle tribolazioni, sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza. La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rom 5,3-5).