Un bene fragile: le riflessioni sull’etica di Antonietta Potente
alle problematiche etiche collegate all’igiene, all’estetica, al prendersi cura di sé e degli altri, come pure alla delicata e attuale questione dell’acqua, della sua gestione tra spreco e valore. Particolarmente significativo, a conclusione del percorso, è lo sguardo concesso al piccolo laboratorio destinato alla lavorazione delle piante medicinali. Gli strumenti del laboratorio, atti a pesare e a mescolare secondo date regole erbe e altri materiali, evocano la riflessione su due elementi fondamentali della tradizione etica, filosofica e teologica: la virtù e la legge. La riflessione sulla virtù permette fra l’altro di cogliere con singolare lucidità il senso del titolo del libro: Un bene fragile. Infatti l’autrice, sulla scorta del pensiero di Martha Nussbaum (La fragilità del bene: fortuna ed etica nella tragedia greca, Bologna 2004), afferma di voler collocare la virtù «non tanto nell’ambito della perfezione, quanto piuttosto in quello della fragilità umana»: «le virtù sono scelte, tentativi possibili e sforzi costanti, a partire da una situazione d’incertezza e imperfezione, e dalle nostre passioni più profonde, per avvicinarci e affrontare la realtà in un altro modo» (pp. 145-146). Il libro, come in genere tutta l’opera di Antonietta Potente, si lascia leggere non tanto da chi fosse in cerca di risposte a specifici quesiti morali e nemmeno da chi si ritenesse interessato a trattazioni sistematiche sui principi etici: s’indirizza piuttosto a chi sia disposto a entrare nella logica dell’opera aperta per lasciarsi interrogare, emozionare e iniziare a nuovi orizzonti di speranza. Certo, ogni libro in realtà è un opera aperta perché il lettore interagisce sempre con esso interpretandolo. Ma ci sono opere più intenzionate e adatte di altre a coinvolgere il lettore e a “generarlo” facendosi da lui “generare”. Direi che Un bene fragile… appartiene a questa specie di opere. Le pagine conclusive ci confermano che il libro – «cresciuto tra voli pindarici di pensieri, discese in picchiata e momenti di difficile sospensione nell’aria della vita» – non vuole essere un saggio compiuto: «tutto ha un sapore di incompiuto proprio come l’etica» (p. 179). È piuttosto un invito a riflettere insieme per accendere o alimentare nel lettore il gusto della riflessione personale e la consapevolezza che la costruzione dell’etica è aperta al contributo di tutti: «ciascuno ripercorra la propria casa, come se fosse la prima volta, e ripensi all’etica e, se vuole, elabori la sua autobiografia suggerendoci qualcosa per vivere meglio» (p. 178).