di Gianni Cioli • Suor Antonietta Potente, teologa domenicana originaria della provincia di Savona, ha vissuto per molti anni in Bolivia impegnandosi in prima linea nel dialogo interreligioso e interculturale per i diritti delle donne, per l’equilibrio economico e per l’ambiente. Le sue pubblicazioni di carattere etico e teologico sono numerose, e tutte accomunate da uno stile personalissimo, accattivante e molto poco accademico. Un testo particolarmente stimolante fra i molti che la teologa ha prodotto è sicuramente Un bene fragile: riflessioni sull’etica, scritto durante la permanenza in Bolivia e pubblicato nel 2011 nella popolare collana “Oscar Mondadori”. Il filo conduttore delle riflessioni di suor Antonietta sull’etica si dipana in un percorso descrittivo della sua casa boliviana nella quale il libro è stato ideato. Così la presentazione della reale disposizione degli ambienti e delle stanze, dei loro oggetti e delle attività di chi vi abita diventa un caleidoscopio di simboli, metafore e allegorie che ci accompagna in un lucido itinerario sul significato e sul valore dell’etica. Il punto di partenza della singolare proposta è fornito dalle seguenti considerazioni: «Il “senso” dell’etica è la relazione. Per cui ogni domanda relativa all’etica rimanda a un’inquietudine legata alle relazioni. Sulla scia di questa intuizione, molti pensatori nell’ambito della filosofia, della teologia, dell’antropologia e della sociologia, hanno individuato la similitudine che esiste tra etica e casa, tra ethos (…) e oikos: una sottile trama che collega fra loro carattere, indole, temperamento, personalità, attitudine, costumi, tradizioni con la casa, l’ambiente, l’abitazione. Lo sviluppo dell’etica può essere paragonato alla progressiva costruzione di una dimora umana» (p. 20). Il libro è diviso in tre parti. La prima è una breve introduzione alla visione dell’etica come costruzione dell’umano, articolata attraverso un’analisi terminologica e una sintesi storica. Viene fra l’altro proposta una precisa distinzione fra etica e morale, da non considerarsi come puri sinonimi: «Etica e morale rappresentano (…) due aspetti della realtà umana; mentre l’etica però rimanda al bisogno di costruire qualcosa che permetta alla vita di essere tale, la morale indica un sistema stabilito dentro un “ordine vigente” (…), stabilito nell’ordine simbolico e pratico di un potere ideologico o religioso» (p. 22). La seconda parte sviluppa la similitudine tra etica e dimora umana in un percorso descrittivo cui abbiamo accennato: le tematiche etiche fondamentali vengono considerate a partire dalla descrizione empatica dei vitali ambienti domestici. Nell’ultima parte si prende spunto dalla considerazione degli aspetti più dinamici e mutevoli che caratterizzano una casa per affrontare la questione del cambiamento in prospettiva antropologica, cosmologica sociologica ed etica. Si approda così a una visione dinamica del vivere umano: «In sintesi possiamo dire che l’etica è l’inquietudine di costruire noi stessi, per ripensarci ancora vivi, nonostante le fatiche quotidiane. Ed è in questo senso che l’etica si configura come un sistema aperto» (p. 169). Si conclude con la proposta di comprendere l’etica “tra sinderesi e serendipità”: tra consapevole desiderio del bene ed esperienza dell’imprevisto. L’etica «è dialogo tra sogno, ideale, archetipo, realtà concreta, egocentrismo umano, con i suoi differenti centri gravitazionali, e cosmico». Essa «non sfocia da personalità perfette, ma da persone in cerca e la ricerca è aperta, come possibilità di trovare l’inaspettato» (pp. 173-174). Vale la pena soffermarsi più in dettaglio sulla seconda parte che, oltre a costituire la sezione più ampia, risulta l’elemento più originale del libro. Vi si descrive, come detto, la concreta abitazione dell’autrice: una tipica casa boliviana caratterizzata dal patio, il cortile su cui si affacciano le diverse stanze. Ogni stanza evoca corrispettive attività umane alle quali afferiscono molteplici problematiche etiche. Così la cucina ci ricorda «l’importanza del cibo e al tempo stesso l’esistenza di situazioni di squilibrio e di sfruttamento nella distribuzione degli alimenti» (p. 58); richiama anche il significato del digiuno e può caratterizzarsi come «luogo dell’incertezza e dell’indeterminazione» (p. 63). Le camere da letto evocano il riposo, l’amore, la malattia e anche il sogno con tutta la loro densità di significati etici. La biblioteca fa riflettere sul valore del pensare e dello studiare. La stanza da bagno ci pone di fronte alle problematiche etiche collegate all’igiene, all’estetica, al prendersi cura di sé e degli altri, come pure alla delicata e attuale questione dell’acqua, della sua gestione tra spreco e valore. Particolarmente significativo, a conclusione del percorso, è lo sguardo concesso al piccolo laboratorio destinato alla lavorazione delle piante medicinali. Gli strumenti del laboratorio, atti a pesare e a mescolare secondo date regole erbe e altri materiali, evocano la riflessione su due elementi fondamentali della tradizione etica, filosofica e teologica: la virtù e la legge. La riflessione sulla virtù permette fra l’altro di cogliere con singolare lucidità il senso del titolo del libro: Un bene fragile. Infatti l’autrice, sulla scorta del pensiero di Martha Nussbaum (La fragilità del bene: fortuna ed etica nella tragedia greca, Bologna 2004), afferma di voler collocare la virtù «non tanto nell’ambito della perfezione, quanto piuttosto in quello della fragilità umana»: «le virtù sono scelte, tentativi possibili e sforzi costanti, a partire da una situazione d’incertezza e imperfezione, e dalle nostre passioni più profonde, per avvicinarci e affrontare la realtà in un altro modo» (pp. 145-146). Il libro, come in genere tutta l’opera di Antonietta Potente, si lascia leggere non tanto da chi fosse in cerca di risposte a specifici quesiti morali e nemmeno da chi si ritenesse interessato a trattazioni sistematiche sui principi etici: s’indirizza piuttosto a chi sia disposto a entrare nella logica dell’opera aperta per lasciarsi interrogare, emozionare e iniziare a nuovi orizzonti di speranza. Certo, ogni libro in realtà è un opera aperta perché il lettore interagisce sempre con esso interpretandolo. Ma ci sono opere più intenzionate e adatte di altre a coinvolgere il lettore e a “generarlo” facendosi da lui “generare”. Direi che Un bene fragile… appartiene a questa specie di opere. Le pagine conclusive ci confermano che il libro – «cresciuto tra voli pindarici di pensieri, discese in picchiata e momenti di difficile sospensione nell’aria della vita» – non vuole essere un saggio compiuto: «tutto ha un sapore di incompiuto proprio come l’etica» (p. 179). È piuttosto un invito a riflettere insieme per accendere o alimentare nel lettore il gusto della riflessione personale e la consapevolezza che la costruzione dell’etica è aperta al contributo di tutti: «ciascuno ripercorra la propria casa, come se fosse la prima volta, e ripensi all’etica e, se vuole, elabori la sua autobiografia suggerendoci qualcosa per vivere meglio» (p. 178).